Razzismo, perché Coca-Cola e altri brand ritirano la pubblicità da Facebook

I più grandi brand al mondo stanno bloccando la pubblicità su Facebook in segno di protesta per le sue politiche non rispettose dei diritti civili.

Clarice Subiaco
Clarice Subiacohttps://medium.com/@ClariceSubiaco
Classe 1986, passato di studi umanistici e presente nel mondo dei dati. In mezzo, esperienze di lavoro come Digital PR, Content Strategist e Project Manager per startup e agenzie internazionali. Ama raccontare l'innovazione che ha un forte impatto sociale.
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Facebook sta affrontando il più grande boicottaggio della storia. Dal 1° luglio, le più grandi aziende al mondo hanno deciso di ritirare la pubblicità dal social network fondato da Mark Zuckerberg. Parliamo di brand del calibro di Coca Cola, Starbucks, Lego, Unilever, Microsoft, Honda, Verizon, Patagonia, Sony, solo per citarne alcuni.

La campagna #StopHateForProfit

Tutto nasce da una campagna lanciata da Jim Steyer, leader dell’organizzazione Common Media Sense, che promuove un giusto e sicuro utilizzo dei mezzi di comunicazione. #StopHateForProfit, questo l’hashtag usato, mira a fare pressione sulla piattaforma social affinché cambi il modo di gestire i discorsi d’odio e le fake news in generale, inclusi i post incendiari del presidente USA Donald Trump.

Tutto è iniziato il 17 giugno da una dichiarazione di alcune organizzazioni che lottano per i diritti civili secondo le quali Facebook permetterebbe a gruppi estremisti e xenofobi di proliferare liberamente sulla sua piattaforma e addirittura raccomandarli attraverso il suo algoritmo. Inoltre secondo uno studio dell’Anti Defamation League, il 42% degli utenti della piattaforma subisce ogni giorno episodi di molestie virtuali.

Cosa vogliono le aziende che stanno boicottando Facebook?

Le aziende coinvolte nel boicottaggio di massa hanno stilato una vera e propria lista in cui chiedono una riforma delle policy della piattaforma, un aggiornamento dell’algoritmo e l’inclusione di esperti di diritti civili all’interno del management aziendale. Inoltre, chiedono che le aziende le cui campagne sponsorizzare compaiono al fianco di messaggi problematici ricevano un risarcimento e che i moderatori siano sottoposti a una formazione adeguata. Insomma, una riforma totale del sistema.

Nella lettera di ADL si legge:

Quando si tratta di contrastare l’odio e le molestie dilaganti, la piattaforma continua a non essere all’altezza. Che cosa stanno facendo con 70 miliardi di dollari di entrate e 17 miliardi di profitti? Le loro politiche sull’incitamento all’odio e la disinformazione sono inique. I loro servizi alle vittime di molestie sono inadeguati. Il posizionamento delle inserzioni in prossimità di contenuti di odio è casuale. E i loro audit sulla trasparenza dei “diritti civili” non sono utili alla comunità dei diritti civili.

La risposta di Facebook

Carolyn Everson, vice presidente global marketing solution di Facebook, ha dichiarato che l’azienda rispetta la decisione dei brand e che:

restiamo focalizzati sull’importante lavoro di rimozione dei discorsi d’odio e sul continuare a informare gli utenti in vista delle elezioni

Everson aggiunge:

Il dialogo con i marketer e le associazioni per i diritti civili ha lo scopo di unire le forze per raggiungere un obiettivo comune

Il CEO Mark Zuckerberg in un post su Facebook ha detto che l’azienda sta introducendo nuove restrizioni sui contenuti incitanti all’odio nelle sponsorizzazioni, sta bannando esplicitamente le campagne che incitano alla segregazione razziale, ma le restrizioni sembrano non toccare quelli che in gergo vengono chiamati post “organici”, ovvero i contenuti non sponsorizzati.

In un editoriale intitolato “Facebook non trae beneficio dall’odio”, il vice presidente di Facebook, Nick Clegg, aggiunge:

Purtroppo tolleranza zero non significa zero incidenti. Con questa mole di contenuti pubblicati ogni giorno, estirpare l’odio è come cercare un ago in un pagliaio.

Zuckerberg ai dipendenti: “gli inserzionisti torneranno presto”

Il 1° luglio è trapelato un audio in cui Zuckerberg parlando al suo staff avrebbe detto che gli inserzionisti “torneranno abbastanza presto”. 

Queste le parole del fondatore di Facebook ai suoi dipendenti:

Non decidiamo le nostre politiche sulla base della pressione sul fatturato, non stabiliamo le nostre politiche sulla base di nessuna pressione che possa arrivare dall’esterno, anzi, tendo a credere che se qualcuno ti minaccia perché tu faccia qualcosa, il risultato sia metterti in una situazione nella quale diventa ancora più difficile farti fare quanto viene preteso perché apparirebbe come una capitolazione e ciò, nel lungo termine, fissa incentivi negativi al ripetersi di episodi analoghi.

Il fondatore di Facebook conclude:

La conclusione è che non cambieremo le nostre politiche e non cederemo su nulla perché è minacciata una piccola percentuale dei nostri ricavi, o una qualsiasi percentuale dei nostri ricavi.

Cosa si nasconde dietro allo stop delle inserzioni pubblicitarie

Volendo andare più a fondo nella questione, ci sono alcune considerazioni da fare che potrebbero aggiungersi alle motivazioni già spiegate finora. In genere le aziende impostano i loro budget trimestralmente e come è facile immaginare, il trimestre appena trascorso è stato disastroso per la gran parte delle aziende a causa dell’emergenza Coronavirus. Molti brand stavano già pianificando delle riduzioni di budget nei prossimi mesi, perciò lo stop delle inserzioni pubblicitarie rappresenterebbe di fatto un risparmio di denaro da poter investire in altre attività. Inoltre, la natura simbolica di questo gesto genera quello che in linguaggio tecnico si definisce “earned media”, ovvero un guadagno di visibilità assolutamente gratuito per i brand coinvolti.

Cosa cambierà per Facebook?

Secondo una ricerca di Fortune servirebbero centinaia degli 8 milioni di inserzionisti per scalfire il gigante di Menlo Park. Lo scorso anno Facebook ha infatti incassato oltre 70 miliardi di dollari da campagne pubblicitarie, perciò secondo gli esperti il boicottaggio sarebbe ampiamente simbolico. Secondo Gizmodo non tutti i brand coinvolti nel boicottaggio hanno dichiarato se ritireranno la loro pubblicità dall’Audience Network di Facebook che permette di fare pubblicità su piattaforme di terze parti utilizzato i dati di profilazione di Facebook.

Leggi anche: Offese sui social: l’iniziativa di #OdiareTiCosta per sconfiggere gli haters

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