venerdì, 10 Ottobre 2025
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Non una vita lunga, vogliamo una “vita larga”: così le donne vincono il gender gap

Il concetto di vita lunga è parziale e superato, contro il gender gap le donne dovranno battersi per una “vita larga”. Scopriamo cos’è con Simona Gaudi dell’Istituto Superiore di Sanità.

Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.

Non ha più senso augurarsi una vita lunga, perché è un concetto parziale che sottintende, forse, ma non include appieno, il vivere bene. Oggi prende piede un nuovo approccio, l’idea di una “vita larga”. E non si contrappone al classico auspicio di una vita lunga, ma si integra con esso per renderlo meno proverbiale e concreto.

Le donne infatti oggi, vivono più a lungo degli uomini, ma hanno meno anni in buona salute. Sono i dati a parlare chiaramente. Il rapporto 2025 dell’Istat, La situazione del Paese, evidenzia come si sia raggiunto un nuovo massimo storico dell’aspettativa di vita. Gli uomini infatti possono contare di vivere in media 81,4 anni e le donne 85,5.

Ma longevità non è sempre sinonimo di buona salute, soprattutto per le persone di sesso femminile. Se per gli uomini la speranza di vita in buona salute nel 2024 è di 59,8 anni, per le donne, invece, la stima scende a 56,6. Si tratta del valore più basso dell’ultimo decennio, ampliando così il divario di genere.

Se riconquistare il diritto a una vita piena è un atto di giustizia e resistenza, nel cercare di consolidare più strumenti possibili di consapevolezza, esploriamo quindi il concetto di “vita larga”. Cosa significa? Non solo sopravvivere, ma vivere con dignità, opportunità e scelte consapevoli, soprattutto per le donne che hanno subito violenza di genere. Ne parliamo con Simona Gaudi dell’Istituto Superiore di Sanità, ricercatrice del Dipartimento Ambiente e Salute, oggi impegnata nell’ambizioso progetto di ricerca, EpiWE (Epigenetics for Women) volto a dimostrare come la violenza sulle donne modifichi la loro biologia, agendo finanche sul genoma.

Leggi anche: La violenza sulle donne cambia il loro DNA: il ruolo chiave dell’epigenetica

Vivere pienamente è un diritto umano fondamentale. L’intervista a Simona Gaudi

vita larga

1. Cosa significa desiderare una “vita larga”?

Il nuovo concetto di “vita larga” nasce non per contrapporsi al concetto di vita lunga, ma si integra con esso per garantire alle donne una buona qualità di vita che prevede la scelta consapevole del proprio futuro. Le donne vivono più a lungo degli uomini, ma hanno meno anni in salute. Oggi però sono più consapevoli e vogliono vivere una vita degna di essere vissuta. Sopravvivere non basta: vivere non è solo respirare. E oggi è importante parlarne, soprattutto in relazione alle donne che hanno subito violenza, perché sappiamo che esistono anche effetti a lungo termine che non vengono né correlati né stimati in termini di salute psicofisica.

2. Quanto impatta la violenza di genere sulla vita delle donne?

La violenza di genere, che si manifesta in forme fisiche, psicologiche, economiche e sessuali, ha serie conseguenze sulla vita delle donne, dall’isolamento alla perdita di opportunità e sogni interrotti. La sopravvivenza dopo la violenza non basta: serve un progetto di rinascita “personalizzato” o di “precisione” che tenga conto dello stato di salute psicofisico e dell’empowerment femminile.

3. Come riappropriarci quindi di una vita larga?

    Si può fare innanzitutto se si ha la possibilità di scegliere, di riscoprire i propri desideri, di integrarsi nella società. Un lavoro dignitoso e l’indipendenza economica, coltivare relazioni sane e reti di supporto, partecipare alla cultura, all’arte, alla creatività, al viaggio, alla politica, alla spiritualità sono le dimensioni necessarie per la costruzione di una vita larga.

    4. Quali sono gli ostacoli principali?

      La cintura stretta che contrasta la vita larga può essere rappresentata da ostacoli strutturali come precarietà economica, giudizi sociali e vittimizzazione secondaria. Ci sono poi la mancanza di servizi di supporto adeguati e continui nel tempo, gli stereotipi di genere che riducono le aspirazioni delle donne e le difficoltà a essere credute e sostenute dalle istituzioni.

      5. Quali sono ad oggi gli strumenti più concreti per aiutare le donne a ricostruire la loro vita?

        Centri antiviolenza offrono formazione e accompagnamento al lavoro, ci sono testimonianze di donne che hanno trasformato il dolore in forza e progetti di empowerment femminile e sociale. Le reti tra donne e la solidarietà collettiva sono fondamentali per favorire integrazione e autonomia.

        6. Qual è il messaggio più efficace da veicolare per il futuro?

        Non basta intervenire sull’emergenza: serve costruire futuri possibili. Il diritto a una vita piena è un diritto umano fondamentale. È importante un cambiamento culturale e politiche pubbliche orientate alla libertà e all’autonomia delle donne, che rifiuti la narrazione della “vittima a vita”, se esistono nuove possibilità di integrazione e realizzazione personale.

        7. Quanto conta maturare una coscienza collettiva?

        Per tutte donne che hanno subito violenza, ricostruire una vita “larga” è atto di resistenza, resilienza, libertà e giustizia. Una vita lunga non ha valore se è spoglia di significato. Per questo c’è la necessità di una consapevolezza e di una chiamata collettiva all’azione: ognuno può fare la sua parte per allargare le vite, non solo delle donne che hanno subito violenza, ma per l’intera collettività.

        Leggi anche: Salute femminile, c’è un mercato da 100 milioni fatto da giovani donne

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        Silvia Buffo
        Silvia Buffo
        Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.

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