Lovegiver: dono d’amore per chi ha disabilità o ferita più grande?

Il docufilm Because of My Body di Francesco Cannavà fa luce sul delicato binomio sesso- disabilità. Testimonianze e riflessioni sul controverso ruolo del lovegiver.

Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.
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Disabilità. In un mare di riflessioni controverse e accese annega la figura del lovegiver. Per chi nella nostra Italia non ne fosse ancora a conoscenza letteralmente lovegiver significa donatore d’amore. Ma qual è esattamente il suo ruolo? Possiamo finalmente parlare, a dispetto di ogni tabù, di una figura professionale che è quella di assistente sessuale, o per l’appunto lovegiver: un operatore professionale che si occupa dell’assistenza all’emotività, all’affettività e alla corporeità delle persone con disabilità.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha chiarito come la sessualità sia diritto di tutti, dimensione inclusiva di sentimenti e relazioni. Finalmente la figura del lovegiver può garantire alle persone con disabilità un’educazione all’affettività e alla conoscenza del proprio corpo e di quello altrui con il quale si entra in contatto, tutto questo avendo cura della gestione delle emozioni e dell’emotività.

Lovegiver, i diritti sessuali sono diritti umani

E pertanto tutti gli individui hanno diritto a vivere la propria sessualità, liberi da discriminazioni e forme di violenza. I diritti sessuali sono strettamente collegati alla salute sessuale. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) stabilisce che la salute sessuale può esistere solo se i diritti sessuali di tutti gli esseri umani vengono rispettati, protetti e garantiti. E per le persone con disabilità questo principio vale allo stesso modo. Specificarlo appare ovvio, ma purtroppo è necessario. L’aspetto della salute sessuale nelle persone con disabilità si deve però affrontare con estrema cura.

In Italia si sono verificati pochi ma cruciali eventi a favore degli individui con disabilità nell’evoluzione del diritto alla sessualità: il regista Francesco Cannavà si è impegnato in un documentario che ha aperto una enorme strada nella sensibilizzazione a questo tema delicato.

Because of My Body, conosciamo finalmente il lovegiver

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Scritto con Andrea Paolo Massara, prodotto da Raffaele Brunetti per la B&B Film e finanziato in crowdfunding, grazie all’associazione Lovegiver di Max Ulivieri, da sempre impegnato nell’assistenza sessuale a persone con disabilità, Because of My Body documenta un’esperienza reale vissuta da una ragazza, Claudia.

Claudia ha vent’anni, una malformazione da spina bifida, insensibilità alle gambe, tutori e bastoni per camminare. Vive con i genitori e la sorella, è completamente estranea alla sfera affettiva-sessuale, ma sente la necessità di approdare a questo mondo e lo farà grazie al lovegiver Marco. Lui, quarantadue anni, è un operatore socio-sanitario del primo protocollo sperimentale italiano per OEAS: operatore all’emotività, affettività e sessualità. Marco ha un compito privilegiato e difficile: devo donare a Claudia la coscienza della propria affettività e felicità erotica, conquistando dapprima la sua fiducia, ma coordinandosi costantemente nell’intero percorso con il sessuologo Fabrizio Quattrini.

Il racconto di Marco Purzo, uno dei primi lovegiver italiani

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Marco Purzo, lovegiver, racconta la sua esperienza nel docufilm:

Quando ho saputo del progetto di Fabrizio Quattrini e Max Ulivieri di formare degli operatori all’emotività, all’affettività e alla sessualità, mi è sembrata un’idea audace, ma anche promettente.

Lavoravo già con persone con disabilità, da molto tempo, e il loro bisogno di relazionarsi, in senso sesso-affettivo, mi ha messo spesso in difficoltà, come assistente/operatore. Per me era un problema, anche solo parlarne, dato che non avevo risposte. Questo mi ha fatto rendere conto del grande vuoto che Max e Fabrizio si proponevano di riempire.

Facendo il tirocinio con Claudia ho scoperto che l’idea del lovegiver si spinge molto più in là di una mera assistenza, e della sola risoluzione della questione della sessualità nelle persone con disabilità (che in effetti non avviene, come si vede nel documentario). Quando un utente accetta di farsi aiutare, può riuscire ad esplorare degli aspetti di sé tramite un rapporto controllato, ma empatico e reale.

L’utente si sente in condizione di aprirsi completamente. come OEAS credo sia mio dovere essere assolutamente responsabile e rispettoso delle emozioni e delle espressioni degli utenti che seguo.


È un ruolo che ha confini molto definiti, eppure quello che accade durante un intervento è spesso molto forte e importante. Purtroppo il tirocinio con Claudia è stato il mio unico intervento, fino adesso, a causa del Covid. Spero di poter ricominciare presto.


Leggi anche: Sesso e disabilità, Zoe Rondini: “Basta con i tabù!”

Per chi ha disabilità la vita è un continuo lockdown

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L’umanità intesa nel senso più comune del termine ha empatizzato con la dimensione della privazione solo con la pandemia, non solo per il distanziamento dall’affettività. E per estremizzare provocatoriamente possiamo affermare che chi ha disabilità vive in uno stato di lockdown perenne, ma finché il problema non è nostro non ce ne accorgiamo. Serve lottare ancora per un principio di inclusione che dovrebbe esser ormai ovvio, ma che ovvio non è. Ecco la forte testimonianza di Max Ulivieri, ideatore e responsabile del progetto per la realizzazione in Italia della figura dell’assistente sessuale per le persone con disabilità:

In questo lungo periodo di pandemia abbiamo vissuto e continuiamo a vivere molte restrizioni, negli spostamenti, nel poter accedere a ristoranti, discoteche, locali… Ci sentiamo come se all’improvviso avessimo perso la nostra libertà. Molte persone però erano già abituate a questa privazione, seppur alla perdita della libertà non ci si abitui mai, al massimo ci arrendiamo. Queste persone sono quelle con disabilità, di cui anch’io faccio parte. Conoscevo già prima della pandemia la limitazione della propria libertà e autodeterminazione. Sentivo e sento i limiti nei mezzi di trasporto, nei ristoranti e locali non accessibili a chi si muove in carrozzina.

La mia “pandemia” è iniziata 51 anni fa con la C.M.T. – 1A. Una malattia neuropatica degenerativa. Un altro aspetto della pandemia è l’isolamento, la diminuzione di socialità, relazioni, salvo virtuali.

Anche questo aspetto è sempre stato sperimentato da molte persone con disabilità. Adesso tutto è chiaramente enfatizzato. La pandemia è un virus che si può curare e speriamo di estirpare, ma il “virus” più complesso da combattere è quello culturale e che causa così tante limitazioni e solitudine a molteplici persone.

Un “virus” meno conosciuto e pubblicizzato, ma causa di sofferenza e solitudine. In tutto questo viene a mancare pure ciò che potrebbe alleviare e rendere piacevole pure un’esistenza difficile. Il piacere della sessualità. Sembra una maledizione ma alle persone con disabilità viene spesso pure negato.

Il desiderio c’è, è forte, urla dentro, ma nessuno è mai così vicino da sentire quelle grida. La sessualità è uno di quegli aspetti della vita che contribuisce a plasmare il tuo essere, il tuo carattere. Come la vivi o non la vivi influisce molto sul tuo stato d’animo e visione della vita.

Soprattutto se il tuo non viverla non è una libera scelta, ma una forzatura. Possiamo aiutare queste persone? Sì, abbattendo tutte le barriere fisiche e culturali che le separano dal vivere in maniera autonoma il diritto alla sessualità e scoprire che il proprio corpo non è solo fonte di dolore e prigionia, ma può essere anche fonte di piacere e sensazione di libertà”.

Leggi anche: “Handicappata a chi?” Sfatiamo la disabilità con l’intervista a Zoe Rondini

Lovegiver e disabilità: questione controversa

Che il lovegiver eserciti un bene assoluto nei confronti di chi ha disabilità non possiamo dirlo, tante sono le reazioni psicologiche che possono innescarsi. Carmelo Comisi, fondatore del Disabily Pride, su Because of my body di recente presentato al MAXXI di Roma con la sua partecipazione, sottolinea però un aspetto controverso importante:

“Un mio amico con disabilità, Stefano Asaro, mi ha detto che in seguito alla visione del film si sentiva in qualche maniera leso. Secondo lui la disabilità presa dal punto di vista di Claudia, che ha vissuto questa esperienza, era presentata al grande pubblico in una chiave che non rappresenta la realtà in genere: i disabili solitamente sono considerati in maniera stereotipata, fuori dal mondo dell’affettività e dalla sessualità. Io gli facevo presente che questa è una realtà di molte persone, per il rapporto che si viene a creare con il resto della società, che non è mai stata avvezza alle relazioni con chi ha disabilità e questo crea molta frustrazione nel relazionarsi. Eppure la condizione di Claudia non è la condizione di tutti.

Personalmente vedo nel film di Francesco Cannavà la possibilità di raccontare un’esperienza con un lovegiver, ruolo nel nostro paese ancora non comune, con tutto ciò che questo comporta. Diciamo che nel racconto la figura dell’assistente affettivo sessuale non ne esce poi così bene per Claudia: potrebbe in qualche modo sembrare che la relazione con questa persona l’abbia danneggiata. Ciò non deve essere un vulnus per questa figura, ma è una narrazione di una parte del mondo della disabilità. Ci vorrebbero a completamento cinematograficamente ancora altre testimonianze”.

Because of my body, e se anche soffrire per amore fosse un diritto di tutti?

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Abbiamo provato con questo approfondimento a fare una riflessione profonda sul difficile ruolo professionale del lovegiver e sulla sua funzione sociale. Alla fine del film, di cui consigliamo la visione a chiunque sia interessato a portare innovazione e diritti nel mondo nella disabilità, ci chiediamo se questa esperienza di supporto del lovegiver sia stata lesiva per Claudia o edificante. E un’idea ce la siamo fatta.

Because of My Body ha testimoniato che il lovegiver garantisce a una persona con disabilità il diritto a emozionarsi, nel bene e nel male. Garantire l’accesso alle emozioni è il vero successo. Claudia si innamora e soffre intensamente come una ragazza qualsiasi, anzi forse un po’ meno, perché dall’altra parte ha un professionista, Marco, che pur giocando un ruolo paragonabile a uno tsunami nell’emotività di Claudia, ha sempre voluto tutelarla.

Grazie a questo docufilm Claudia ha avuto un approccio alla sessualità protetto, seppur nella sofferenza che qualsiasi coinvolgimento nella vita ci genera. Ne è valsa la pena o no? Come ci fa notare il regista Cannava, sì! “Perché piacere e dolore sono due facce della stessa medaglia e la medaglia è la persona!”

Because of My Body è un viaggio nelle emozioni, e nella disabilità di ognuno di noi, tutti abbiamo delle disabilità, se non fisiche, interiori. Chi di noi non deve fare i conti con la propria inadeguatezza? Chi fra noi non è a suo modo disabile? L’arte di Cannavà è quella di regalare una fortissima, indissolubile empatia tra lo spettatore e il suo docufilm, i personaggi ti entreranno dentro. La narrazione è semplice, ironica, estramamente naturale, durante il film si ride e si sorride molto, perché si ride quando l’ipocrisia è assente. Il regista Francesco Cannavà tratta un tema tabù come la cosa più naturale del mondo. È una storia che ti resta nel cuore, una storia in grado di insegnare che una grande rivoluzione si può fare solo attraverso la semplicità.

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