Liliana Segre, la memoria: “Un giorno del settembre 1938 diventai l’altra”

Il razzismo e l'antisemitismo non sono scomparsi con la fine dell'Olocausto. Raccontare storie come quella di Liliana Segre è fondamentale perché l'orrore non si ripeta mai più.

Clarice Subiaco
Clarice Subiacohttps://medium.com/@ClariceSubiaco
Classe 1986, passato di studi umanistici e presente nel mondo dei dati. In mezzo, esperienze di lavoro come Digital PR, Content Strategist e Project Manager per startup e agenzie internazionali. Ama raccontare l'innovazione che ha un forte impatto sociale.
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“Non ho mai perdonato, come non ho mai dimenticato” queste parole di Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, suonano come un macigno.

Un macigno piombato addosso a una ragazzina che, ad appena 13 anni, subì il suo primo arresto per essere deportata in un campo di concentramento

Le leggi razziali: “I miei compagni non si accorsero che il mio banco era vuoto”

Dopo la perdita della madre Lucia Foligno avvenuta quando ancora non aveva compiuto un anno di età, Liliana Segre cresce a Milano con il padre Alberto Segre e la sua famiglia.

Di origini ebraiche, ma di professione laica, la famiglia Segre non sfugge alle leggi razziali del 1938 e con l’intensificarsi delle persecuzioni contro gli ebrei, Liliana viene cacciata da scuola:

Un giorno di settembre del 1938 sono diventata l’altra.

So che quando le mie amiche parlano di me aggiungono sempre ‘la mia amica ebrea’. E quel giorno a 8 anni non sono più potuta andare a scuola.

Ero a tavola con mio papà e i nonni e mi dissero che ero stata espulsa. Chiesi perché, ricordo gli sguardi dei miei, mi risposero perché siamo ebrei, ci sono delle nuove leggi e gli ebrei non possono fare più una serie di cose.

Se qualcuno legge a fondo le leggi razziali fasciste, una delle cose più crudeli è stato far sentire invisibili i bambini.

Molti miei compagni non si accorsero che il mio banco era vuoto

Racconta, la senatrice a vita, nel suo ultimo intervento pubblico all’evento Rondine Cittadella della pace, a ottobre 2020.

Liliana Segre, la fuga in Svizzera: “Mi sono sentita clandestina”

Data la crescente pressione della persecuzione, il padre di Liliana decide di nascondere la figlia presso una famiglia di amici, che rischiano la vita pur di proteggere la bambina.

Dopo aver ottenuto dei passaporti falsi, Liliana e la famiglia tentano la fuga dall’Italia. Ma alla frontiera con la Svizzera, ad aspettarla c’è una brutta sorpresa.

Le guardie svizzere si rendono subito conto che si tratta di una famiglia di ebrei italiani in fuga e Liliana Segre viene arrestata a soli 13 anni. Da lì viene trasportata nel carcere di San Vittore dove vi resterà per 40 giorni. Sarà solo l’inizio del suo calvario. 

Anche io mi sono sentita clandestina, anche io sono stata respinta.

quella meravigliosa e accogliente Svizzera di cui si parla anche nel libro di Renata Broggini (“Terra d’asilo”, ndr) a me l’asilo non lo ha concesso.

Queste le parole Liliana Segre pronunciate davanti a una folla di studenti presso il Teatro degli Arcimboldi nel 2018.

30 gennaio 1940, binario 21: la deportazione ad Auschwitz

liliana segre binario 21 milano

Il 30 gennaio 1940 dal binario 21 della stazione di Milano centrale, parte il viaggio dell’orrore di Liliana Segre che, assieme al padre, viene deportata nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau.

Una volta arrivata, Liliana viene separata dal padre che non rivedrà mai più, e inviata nella sezione femminile.

75190 è il numero che le viene tatuato sul braccio, il marchio deumanizzante destinato a tutti i deportati. Da quel momento Liliana non è più un essere umano e viene sfruttata nella fabbrica di munizioni Union, dove lavora per circa un anno.

Il campo di sterminio funzionava alla perfezione, da anni, non c’era il minimo errore.

Cominciammo a capire che dovevamo cominciare a dimenticare il proprio nome, che nella tradizione ebraica ha un significato.

Mi venne tatuato un numero sul braccio e dopo tanti anni si legge ancora bene, 75190.

E dovemmo subito impararlo in tedesco.

Racconta la senatrice a vita Liliana Segre nella sua ultima testimonianza pubblica sulla Shoah.

Liliana Segre: “Certe cose non sono riuscita mai a perdonarle”

La paura vissuta in quei momenti terribili rimarrà sempre indelebile della mente della senatrice a vita, che sempre nel suo discorso ad Arezzo ricorda:

A 13 anni ero una ragazzina e mi dettero qualche anno in più, così fui scelta con altre 30 ragazze italiane ebree.

Tutte le altre andarono alle camere a gas e così successe con gli uomini.

Scesi dal treno, vidi mio padre, lo salutai e non lo vidi mai più.

Dopo una perdita così atroce, Liliana Segre racconta di aver vissuto il terrore di farsi nuovi amici per paura di perdere di nuovo delle persone care. E continua:

Non ho mai perdonato, come non ho dimenticato, certe cose non sono mai riuscita a perdonarle.

Il trasferimento e la liberazione

Alla chiusura di Auschwitz Liliana Segre viene trasferita nel campo di Ravensbrück in Polonia e poi ancora a Malchow in Germania.

Con l’avanzare dei russi, i tedeschi decidono di spostare i prigionieri di Malchow tramite quella che viene chiamata la “marcia della morte”, un lungo tragitto di mesi e mesi per raggiungere un altro campo di prigionia.

La liberazione avviene il 1° maggio 1945 grazie all’intervento dell’Armata Rossa.

Dei 766 bambini sotto i 14 anni deportati, Liliana Segre è tra i 25 che sono sopravvissuti

Liliana Segre, il rientro in Italia: “Ero un animale ferito”

Una volta tornata a Milano, Liliana Segre viene ospitata dalla famiglia della madre, ma dopo aver visto l’abisso, tornare alla vita normale non è semplice. 

Era molto difficile per i miei parenti convivere con un animale ferito come ero io: una ragazzina reduce dall’inferno, dalla quale si pretendeva docilità e rassegnazione.

Imparai ben presto a tenere per me i miei ricordi tragici e la mia profonda tristezza.

Nessuno mi capiva, ero io che dovevo adeguarmi ad un mondo che voleva dimenticare gli eventi dolorosi appena passati, che voleva ricominciare, avido di divertimenti e spensieratezza.

In queste parole tratte dal film-documentario Memoria, emerge tutto il dramma di un’esperienza impossibile da cancellare. Una vita distrutta, che però Liliana ha saputo mettere a servizio degli altri, portando la sua testimonianza soprattutto tra gli studenti.

Il matrimonio con Alfredo Belli Paci

A 18 anni Liliana Segre, durante una vacanza al mare, conosce un avvocato cattolico, Alfredo Belli Paci, anch’egli fuggito ai campi di concentramento per essersi rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò.

Un matrimonio felice da cui sono nati tre figli, che, però, ha visto anche dei momenti bui.

Alfredo è infatti sì antifascista, ma conservatore e anticomunista e aderisce al Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale, un gruppo post fascista, che di fatto si scontra con il vissuto di Liliana.

Il rapporto tra i due si rinsalderà quando lui deciderà di lasciare la politica.

Shoah, la rottura del lungo silenzio

Per molti anni della sua vita, Liliana Segre, non riesce a parlare della sua esperienza. Il dolore è troppo grande per poter essere condiviso. Ma è nei primi anni ‘90 che la senatrice decide di rompere il silenzio e lo fa raccontando la sua storia a dei ragazzi di alcune scuole.

Da quel momento la sua attività di divulgazione si farà sempre più intensa, fino a quando nel 2004 l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi la nominerà Commendatore della Repubblica italiana.

Nel 2008 Liliana Segre ottiene anche due lauree, una in Legge presso l’Università di Trieste e una seconda in Scienze pedagogiche nel 2010 all’Università di Verona. 

La nomina a senatrice a vita di Liliana Segre: “Mi opporrò con tutte le mie forze a leggi speciali contro popoli nomadi” 

Nel 2018, anno in cui ricadeva l’80° anniversario delle leggi razziali fasciste, Liliana Segre viene nominata senatrice a vita dal Presidente Sergio Mattarella “per avere illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale”.

Nel suo primo intervento al Senato, il 5 giugno dello stesso anno, la senatrice esprime il suo dissenso verso alcune derive di estrema destra dell’allora governo M5S-Lega:

La scelta più coerente rispetto alla fiducia a questo governo credo sia l’astensione:

poi valuterò volta per volta le scelte dell’esecutivo, senza pregiudizi ma solo nell’interesse del popolo italiano.

Nel suo intervento la senatrice ricorda anche le leggi razziali e la sua esperienza di deportata:

Mi opporrò con tutte le energie che mi restano a leggi speciali contro i popoli nomadi.

Una persecuzione mai terminata

Gli insulti e le discriminazioni contro gli ebrei non si sono, putroppo, ancora del tutto estinti. Lo scorso anno Repubblica ha pubblicato una serie di dati davvero sconfortanti.

Ogni giorno Liliana Segre riceve in media 200 messaggi d’odio: “Mi chiedo perché non sei crepata insieme a tutti i tuoi parenti”. Questo il tenore dei commenti provenienti da sostenitori dell’estrema destra.

Dopo le minacce ripetute dello scorso anno e lo striscione antisemita realizzato da alcuni esponenti di Forza Nuova in occasione di un suo intervento pubblico a Milano, il Presidente Mattarella ha deciso di assegnarle una scorta.

Per evitare che crimini del genere si ripetano, raccontare e mantenere in vita storie come quella di Liliana Segre diventa un atto di resistenza. Come scrisse Hannah Arendt nel celebre saggio “La banalità del male“:

I vuoti di oblio non esistono.

Nessuna cosa umana può essere cancellata completamente e al mondo, c’è troppa gente perché certi fatti non si risappiano:

qualcuno resterà sempre in vita per raccontare.

E perciò nulla può mai essere praticamente inutile, almeno non a lunga scadenza.

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