Leucemia mieloide cronica a 25 anni, Stefania: “Mi godo ogni giorno, ma non sono un’eroina”

La ragazza, ad appena 25 anni, è stata colpita da una leucemia mieloide cronica, malattia che di solito si riscontra in pazienti di 50-60 anni.

Asia Buconi
Asia Buconi
Classe 1998, romana. Laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali, ama l’attualità e la letteratura, ma la sua passione più grande è la sociologia, soprattutto se applicata a tematiche attuali. Nel tempo libero divora film e serie tv.
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La storia di Stefania Nese ci insegna che nella vita si può superare tutto con il giusto atteggiamento. La ragazza, ad appena 25 anni, è stata colpita da una leucemia cronica, malattia che di solito si riscontra in pazienti di 50-60 anni. Oggi Stefania ha 45 anni e ha raccontato al quotidiano La Repubblica la sua lotta contro la malattia.

Si tratta di un tumore piuttosto raro – la leucemia mieloide cronica – che in Italia colpisce 2 persone ogni 100mila, più uomini che donne, in genere over-60. Meno del 30% delle diagnosi, infatti, riguarda persone sotto i 60 anni di età.

Leucemia cronica, il giorno della diagnosi di Stefania

Stefania ha raccontato la sua storia partendo dal giorno in cui le è stata diagnosticata la leucemia cronica. E ha spiegato:

Io frequentavo l’università e fisicamente ero più che in forma. Giocavo a pallavolo a livello agonistico e mi allenavo ogni giorno. Non avevo alcun sintomo e 9 mesi prima avevo fatto delle analisi del sangue di routine, che erano risultate perfette.

Poi, una notte, mi sono svegliata con forti spasmi all’addome. Ho preso un antidolorifico che sembrava aver fatto effetto, ma mia sorella mi ha suggerito di andare comunque dal medico, dicendo: ‘Metti che hai un’appendicite?’. E così mi convinse, andai dal medico di base, che senza visitarmi mi fece subito la richiesta di ricovero. Il mio medico senza nemmeno toccarmi mi ha salvato la vita.

Una volta in ospedale, ai medici è bastato un emocromo a suggerire la diagnosi, poi confermata dopo qualche giorno e qualche altro esame: era leucemia cronica.

Stefania ricorda con affetto le parole esatte che un medico pronunciò poco prima che le spiegassero cosa fosse la leucemia cronica: “Ora le diranno cosa le sta accadendo, ma lei si ricordi che è stata fortunata perché sono stati scoperti tanti farmaci per casi come il suo. Vedrà che il suo sarà un percorso vincente”.

E mentre qualcuna delle persone che l’aveva accompagnata all’ospedale era terrorizzata dall’espressione “leucemia cronica”, Stefania era riuscita a conservare una calma inaspettata. “Ho riflettuto sulle ragioni di quella calma, e ho capito che era dovuta all’invisibilità tipica dei tumori del sangue”, ha ammesso.

Leucemia cronica, la storia di Stefania: dai viaggi per il mondo alla gravidanza

Leucemia cronica la colpisce a 25 anni: "Non sono un'eroina"

Stefania è stata poi interrogata su cosa abbia significato per lei affrontare una malattia come la leucemia cronica a soli 25 anni. E ha spiegato:

Significa rimodulare tutto quello che ti eri immaginato, ogni cosa che avevi progettato, perché tutto deve essere adattato ai ritmi che la malattia impone. Adattarsi ha voluto dire smettere di giocare a pallavolo per un po’.

Poi, visto che le cure stavano funzionando bene, mi imposi. Dissi: ‘o mi fate giocare o non mi curo’, e sono rientrata in campo prima del previsto.

Significa anche, però, prendere coscienza che si è pazienti di ‘lunga durata’.

Per i medici essere di lunga durata è qualcosa di positivo. E lo è, certamente.

Ma essere di lunga durata vuole dire cose diverse a seconda della fase della vita in cui la malattia si presenta. Se una leucemia cronica colpisce a 70 anni, lunga durata può significare arrivare a 90 anni o di più: non male e poi un 70enne inoltre ha preso già tante decisioni libere nella vita, da sano.

Ricevere una diagnosi di tumore cronico a 25anni significa invece modificare scelte, cambiare priorità. Cominci a temere di non poter avere figli, ti chiedi se vale la pena sposarsi e provare a mettere su famiglia, se ha senso finire l’università o se invece non sarebbe meglio fare tutt’altro.

Alla fine, Stefania le sue priorità le ha cambiate davvero. Ha scelto di viaggiare e girare il mondo per un anno. Ha passato un mese in India. Poi, man mano che le cose andavano bene, si è concentrata sull’avere la migliore qualità della vita possibile malgrado la malattia.

A un certo punto smetti di voler solo sopravvivere, e cominci a voler sopravvivere come gli altri – ha raccontato – Insomma, col passare del tempo ho pensato: visto che le cure funzionano perché non dovrei riprendere i miei progetti? E così mi sono laureata in scienze dell’amministrazione, mi sono sposata. E ho avuto Rachele, mia figlia”.

E sulla gravidanza, ha spiegato: “Sono rimasta incinta molto presto. Mia figlia è stata fatta nascere un po’ prima perché il livello di malattia stava salendo. È andata bene, però non mi sono sentita di rischiare una seconda volta con una seconda gravidanza, per questo Rachele è figlia unica, una condizione che ancora oggi non le piace granchè. Quindi certo, la malattia influenza e ha influenzato la mia vita e le mie scelte. Però mi ha permesso anche di realizzare tanto, e di avere tante soddisfazioni”.

Leucemia cronica, Stefania: “Non mi sento un’eroina”

Nel 2004, dopo la diagnosi di leucemia cronica, Stefania ha fondato “Bianco Airone”, un’associazione di pazienti che ha l’obiettivo di rendere disponibili per tutti cure che, al tempo, erano nuove. Ma oggi questa realtà si è molto ampliata:

Con il passare del tempo abbiamo capito che l’associazione può fare di più di questo. Che i pazienti portano esperienze uniche, storie che devono essere ascoltate. Ascoltare i pazienti migliora l’assistenza, le cure, fornisce ai medici e alla ricerca indicazioni importanti.

Le parole dei pazienti sono ancore di salvezza per altri pazienti, le loro esperienze ti fanno capire che sta a te: tu puoi decidere se rimanere ostaggio di questa cosa che ti è capitata e farti condizionare tutti gli anni che ti rimangono, oppure se, insieme agli altri, puoi trovare un modo per andare avanti. E questo è quello che succede a noi grazie all’associazione: tutti insieme troviamo le forze e il modo per raccontarci, sperimentarci e andare avanti

E in merito alla narrazione che – spesso e volentieri – dipinge i malati oncologici come supereroi e guerrieri, Stefania dice:

Ogni tanto ti senti dire che sei guerriero, eroe, sopravvissuto o addirittura che sei di ispirazione … Ma il cancro non ha lo stesso significato per tutti.

La malattia oncologica ti proietta in una dimensione diversa, questo è vero. Ma non ti rende un supereroe.

Lo so bene che c’è chi scrive libri, chi gira documentari… Ma ci può essere anche tranquillità semplicemente nella vita dei pazienti.

Io, per esempio, non mi sento descritta da una storia forte, la mia esperienza con la leucemia è interiore, mi confronto con me stessa, con le mie paure e i miei obiettivi.

Non mi sento un’eroina, ma una persona che ha vissuto e affrontato una situazione difficile che le è capitata, come tante persone ne affrontano altre.

E che cerca di tirare fuori il meglio da questa esperienza, godendosi ogni giorno ciò che arriva. Assumo un farmaco che sta funzionando, ci sono effetti collaterali sì, però non mi impediscono di fare una vita normale. Li vivo per quello che sono: il mio percorso di cura.

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Classe 1998, romana. Laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali, ama l’attualità e la letteratura, ma la sua passione più grande è la sociologia, soprattutto se applicata a tematiche attuali. Nel tempo libero divora film e serie tv.
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