“Governo del cambiamento”: cosa promette alle imprese e ai lavoratori

Martina Mugnaini
Martina Mugnaini
Martina Mugnaini. Classe 1991. Nata e vissuta a Roma, ha un forte legame con le sue origini fiorentine. Laureata in Filologia Moderna alla Sapienza e giornalista, ama scrivere di tutto quello che riguarda l’arte, la letteratura, il teatro e la cultura digitale. Da anni lavora nel campo della comunicazione e del web writing interessandosi di tutto ciò che riguarda l'innovazione. Bibliofila e compratrice compulsiva di libri di qualunque genere, meglio se antichi: d'altronde “I libri sono riserve di grano da ammassare per l’inverno dello spirito” e se lo dice la Yourcenar sarà vero.
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Questa è la prima settimana operativa del neo “Governo del cambiamento“, dopo la nomina del premier Giuseppe Conte. Quello che accadrà in futuro solo i fatti potranno dirlo. Il tempo ci dirà se verranno rispettate le promesse della campagna elettorale, se le divergenze di vedute dei due programmi saranno troppo profonde e inconciliabili per poter trovare un punto di incontro nel prossimo futuro e quante delle riforme proposte saranno realmente attuate. Per ora tutto quello che abbiamo è scritto nel contratto di Governo che i due schieramenti hanno stilato in questi mesi dopo l’esito elettorale del 4 marzo. Un documento di 57 pagine in cui vengono elencate le scelte del Governo da qui ai prossimi 5 anni. Si va dal superamento della Legge Fornero, alla misura alquanto originale per ridurre il debito pubblico fino al reddito di cittadinanza. Ma cosa cambierà davvero per gli imprenditori, le aziende e i lavoratori? Quali sono le misure economiche previste per risolvere le problematiche sempre più urgenti di queste categorie? Vediamole insieme.

Legge Fornero: stop agli squilibri

Nel suddetto contratto alla voce pensioni si legge “abolizione degli squilibri del sistema previdenziale introdotti dalla riforma delle pensioni cd. “Fornero”, stanziando 5 miliardi per agevolare l’uscita dal mercato del lavoro delle categorie ad oggi escluse.” Le due soluzioni proposte dal Carroccio e dai Pentastellati sono la così detta quota 100 – ossia si potrà andare in pensione quando la somma tra età minima e anzianità contributiva dara come risultato 100 -e la quota 41. I 5 miliardi previsti dal contratto basteranno? Sembrerebbe proprio di no. Il presidente dell’Inps Tito Boeri dichiara in un’intervista del Sole 24 Ore che queste soluzioni “comporterebbero un costo immediato di 15 miliardi e poi un costo a regime di 20 miliardi l’anno“. Una cifra astronomica. Parte delle risorse potrebbero essere trovate tagliando le così dette pensioni d’oro ossia quelle superiori ai 5000 euro netti al mese che non sono proporzionate ai contributi versati.

Tito Boeri, presidente dell'Inps
Tito Boeri, presidente dell’Inps

La rivoluzione fiscale e la flat tax

Un punto fondamentale del neo Governo del cambiamento è la rivoluzione fiscale: questo vorrebbe dire in primo luogo “l’intenzione di voler sterilizzare le clausole di salvaguardia UE che comportano l’aumento delle aliquote IVA e delle accise”. A gennaio del 2019 scatterà l’aumento dell’IVA ordinaria che arriverà al 24,2% e di quella agevolata che arriverà all’11,5%. Per scongiurare questa situazione potenzialmente catastrofica per l’economia nazionale bisogna trovare al più presto più di 12 miliardi di euro. Come fare? La soluzione che la Lega e il M5S propongono è la flat taxovvero una riforma fiscale caratterizzata dall’introduzione di aliquote fisse, con un sistema di deduzioni per garantire la progressività dell’imposta“. Certo, perché introdurre una misura come la flat tax potrebbe andare contro l’articolo 53 della nostra Costituzione, il quale sancisce che il sistema tributario debba essere caratterizzato dalla progressività della tassazione in base alla capacità contributiva dei cittadini. La flat tax è invece una tassa piatta basata solo ed esclusivamente su una aliquota bassa e unica per tutti. La versione del “Governo del cambiamento” è in realtà un ibrido dato che si parla di due aliquote fisse, 20% per famiglie, persone fisiche e partire IVA e il 15% per le società. Per le famiglie è prevista una deduzione fissa di 3.000,00 euro sulla base del reddito familiare: viene inoltre confermato il principio della “no tax area” ossia delle soglie di reddito al sotto delle quali non è applicata alcuna tassazione. Con la flat tax al 15% le imprese, oggi assoggettate alla aliquota Ires del 24%, otterranno un risparmio significativo e in alcuni casi, la tassazione potrebbe essere dimezzata rispetto a quella attuale. I vantaggi per le famiglie e per le imprese sono indiscutibili: tutti pagherebbero meno tasse di adesso, le imprese, le aziende e tutti coloro che creano ricchezza, lavoro o investono, non dovranno più essere penalizzate dall’alta tassazione, fare la dichiarazione dei redditi sarà molto più facile dato che l’imposta è unica (o quasi). Gli svantaggi però potrebbero essere superiori sul lungo di periodo: tanto per cominciare lo stato perderebbe quasi 50 miliardi l’anno di entrate, dovendo poi di conseguenza operare dei tagli che come al solito andranno a colpire settori già al limite come scuola, sanità e ricerca. Ci sarebbe poi una perdita delle detrazioni personali in base alle caratteristiche della famiglia: niente più detrazioni e deduzioni in base al numero dei figli, delle spese mediche: paradossalmente una persona single avrebbe la stessa aliquota di una con tre figli a carico. Quali sono le coperture per finanziare questa misura? Nel contratto si parla di una minore elusione fiscale e si ipotizzano maggiori consumi. In un paragrafo emblematico si parla di “pace fiscale” da instaurare “con i contribuenti per rimuovere lo squilibrio economico delle obbligazioni assunte e favorire l’estinzione del debito mediante un saldo e stralcio dell’importo dovuto, in tutte quelle situazioni eccezionali e involontarie di dimostrata difficoltà economica.” Questa “riscossione amica” ha tutto l’aspetto di un vero e proprio condono. Tra le altre misure da adottare nella rivoluzione fiscale di parla delll’abolizione di spesometro e redditometro e di un inasprimento senza appello del “quadro sanzionatorio”: per i grandi evasori è previsto il “carcere vero”. D’altro canto l’evasione fiscale in Italia non è mai stato un micro-fenomeno capillare.

Ridurre il debito pubblico? Sì ma a modo nostro

L’obiettivo di ridurre il debito pubblico e quindi la pressione fiscale sui contribuenti e sulle imprese in particolare è ineccepibile “non già per mezzo di interventi basati su tasse e austerità bensì per il tramite della crescita del PIL, da ottenersi con un rilancio sia della domanda interna dal lato degli investimenti e politiche di sostengo del potere di acquisto delle famiglie, sia della domanda estera, creando condizioni favorevoli alle esportazioni.” Come realizzare tutto questo? Per ridurre davvero i 2.300 miliardi di debito pubblico il neo Governo propone una soluzione originale: chiedere all’Unione europea lo “scorporo degli investimenti pubblici produttivi dal deficit corrente in bilancio. Questo garantirebbe ampi margini di manovra contabile eliminando lo spettro del famoso tetto del 3% nel rapporto deficit-Pil.

Rapporto con l’Unione Europea, un’avversione che unisce Matteo Salvini e Luigi di Maio

Un punto fondamentale del contratto rispetto ai rapporti con l’Unione europea è quello di ridiscutere tutti i trattati. “Con lo spirito di ritornare all’impostazione delle origini in cui gli Stati europei erano mossi da un genuino intento di pace, fratellanza, cooperazione e solidarietà si ritiene necessario rivedere, insieme ai partner europei, l’impianto della governance economica europea attualmente asimmetrico, basato sul predominio del mercato rispetto alla più vasta dimensione economica e sociale.” All’unione il neo Governo chiede una tutela del made in Italy – “imponendo una vera indicazione di origine obbligatoria sui prodotti” – e un impegno per “riformare i meccanismi di gestione di fondi UE preassegnati all’Italia.” In sintesi: vogliamo spendere i soldi che ci date come vogliamo noi.

Il palazzo del Berlaymont a Bruxelles, sede della Commissione europea
Palazzo del Berlaymont a Bruxelles, sede della Commissione europea

Il controverso reddito di cittadinanza e le politiche sul lavoro

Ci sono state e ci saranno ancora polemiche a non finire sul reddito di cittadinanza, punto focale del programma pentastellato: “una misura attiva rivolta ai cittadini italiani al fine di reinserirli nella vita sociale e lavorativa del Paese. Garantisce la dignità dell’individuo e funge da volano per esprimere le potenzialità lavorative del nostro Paese, favorendo la crescita occupazionale ed economica.” Come funziona? Viene erogato un assegno da 780 euro mensili a persona che può crescere in base alla situazione del nucleo familiare. Ovviamente il cittadino deve partecipare attivamente al suo reinserimento nel mondo del lavoro aderendo alle offerte che arriveranno dai centri per l’impiego. 2 miliardi di euro serviranno solo per riorganizzare e potenziare questi centri, senza contare i fondi necessari a garantire un reddito a tutti i cittadini senza lavoro. Verranno poi introdotte anche le pensioni di cittadinanza cioè “un’integrazione per un pensionato che ha un assegno inferiore ai 780,00 euro mensili”. “Sul tema del lavoro appare di primaria importanza garantire una retribuzione equa al lavoratore in modo da assicurargli una vita e un lavoro dignitosi, in condizioni di libertà, equità, sicurezza e dignità, in attuazione dei principi sanciti dall’articolo 36 della Costituzione” e fin qui siamo tutti d’accordo. Come realizzare questo obiettivo? Con introduzione del salario minimo orario – di cui non viene indicata la soglia di partenza – per tutte le categoria non tutelate dai contratti collettivi. Per incentivare la ripresa dell’occupazione e liberare le imprese dal peso di oneri spesso inutili e gravosi, secondo il Governo, è necessario ridurre strutturalmente il cuneo fiscale e operare una semplificazione, razionalizzazione e riduzione, anche attraverso la digitalizzazione, della burocrazia connessa alla gestione amministrativa dei rapporti di lavoro. Tutto questo incide pesantemente sul costo del lavoro in termini di tempo, efficienza e risorse. La burocrazia è un pachiderma che ci portiamo dietro da troppo tempo ormai, nessuno intende negarlo. Non viene fatto però nessun riferimento a come realizzare tutto questo ne tanto meno alle coperture necessarie per farlo. Si parla anche del ripristino di una misura simile ai voucher, che sono sempre stati considerati una soluzione decisamente negativa: si propone quindi “uno strumento, chiaro e semplice, che non si presti ad abusi, attivabile per via telematica attraverso un’apposita piattaforma digitale”: quale sia questo strumento non sappiamo ancora. Nessuna proposta per il superamento del Jobs Act che viene descritto come la causa principale della precarietà.

Le critiche: il “mondo che vorrei” costa 100 miliardi

La prima critica – basterebbe questa – che si può muovere alle intenzioni di questo Governo sono le coperture finanziarie. Per attuare tutto quello che il contratto promette servirebbero oltre 100 miliardi di euro: è quanto rileva una prima valutazione dell’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani.

Quantificazione delle proposte del contratto di Governo
Quantificazione delle proposte del contratto di Governo

Dove si può trovare questa cifra quasi impensabile? Luigi Di Maio assicura che le coperture ci sono ma quelle indicate nel contratto sono decisamente esigue rispetto a quelle che sarebbero davvero necessarie. Certo, è prevista la riduzione del numero di parlamentari da 945 a 600 e l’eliminazione delle pensioni d’oro e dei vitalizi. Tutto questo farebbe guadagnare circa 300 milioni di euro. Viene inoltre ipotizzata una riduzione del 20% degli stanziamenti per le missioni internazionali, altri 200 milioni in meno nel conto delle spese. Tirando le somme: il buco nei conti pubblici per attuare le riforme del cambiamento è compreso tra i 108 e i 125 miliardi. È sempre di Maio ad affermare in un video su Facebook: “Qualcuno fa il conto della serva sul nostro programma e chiede dove sono le entrate. Sono nei margini in Ue che dobbiamo andarci a riprendere per poter spendere soldi” Ci sono molte idee e proposte interessanti e realmente utili in questo contratto, altre superficiali e demagogiche. Quello che è giusto fare è sospendere il giudizio e dare la possibilità al Governo di realizzare quello che ha promesso. Tutti abbiamo la speranza che la situazione possa migliorare, indipendentemente da chi si farà carico di questo miglioramento. di Martina Mugnaini

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