Default in Russia, perché sarebbe peggio del 1998? Oggi si rischia la crisi globale

Oggi, a 24 anni dalla crisi del 1998, il mercato della Russia è molto più strutturato e interconnesso: un default trascinerebbe con sé il mondo intero. Ecco perché.

Asia Buconi
Asia Buconi
Classe 1998, romana. Laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali, ama l’attualità e la letteratura, ma la sua passione più grande è la sociologia, soprattutto se applicata a tematiche attuali. Nel tempo libero divora film e serie tv.
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Default in Russia: uno scenario non auspicabile per nessuno. Qualunque piega prenderà il conflitto in Ucraina, la Russia attraverserà un periodo molto difficile, specie dal punto di vista economico. L’enormità delle sanzioni che ha colpito Mosca non potrà non avere ripercussioni sulla vita dei cittadini. L’agenzia di rating americana Fitch ha definito “altamente incerta” la dimensione della contrazione, che dipenderà soprattutto “dalla durata della guerra e dalle sanzioni”.

Quel che è certo, secondo gli esperti di Fitch, è che l’economia russa “crollerà nel 2022”, per effetto delle sanzioni appunto, che hanno danneggiato “in modo massiccio” il sistema bancario e le relazioni internazionali di Mosca. L’agenzia ipotizza quest’anno un calo dell’8%, seguito da uno -0,2% nel 2023. Una contrazione, spiega Fitch, del tutto comparabile” a quella della crisi finanziaria globale del 2007-2008 e a quella del 1998, che coinvolse proprio la Russia.

Default in Russia: quando nel 1998 i cittadini buttavano via le banconote

Default in Russia: quando nel 1998 i cittadini buttavano via le banconote

Lo spettro del default in Russia aleggia minaccioso. I russi che hanno vissuto i turbolenti Anni ’90 ricordano bene quando, nell’agosto 1998, i loro risparmi di una vita si erano trasformati in qualcosa di molto simile alla carta straccia. “Trovai per strada un mucchio di soldi buttati via, li raccolsi e li misi in una busta. Quando arrivai a casa i miei genitori mi dissero che potevo buttarli dal balcone. Fu così bello vedere tutte quelle banconote che volavano via”, racconta la moscovita Anastasia Raspopovaja, che allora aveva appena 13 anni.

Nel 1998, a far scoppiare la crisi, oltre al calo della produttività, agli effetti della crisi finanziaria asiatica e all’alto tasso di cambio fisso tra rublo e valute estere, contribuì anche un conflitto: la prima guerra cecena, che costò al Governo 5,5 miliardi di dollari (senza considerare le ingenti spese di ricostruzione). La Banca Centrale russa fu costretta a svalutare il rublo, a dichiararsi inadempiente sul debito interno e ad annunciare una moratoria sul rimborso del debito estero.

Non solo: nel 1998 i costi sociali crebbero enormemente e l’inflazione russa raggiunse l’84%. Questo portò molte banche, tra cui gli istituti Inkombank, Oneximbank e Tokobank, a dover chiudere a causa della crisi.

Le conseguenze politiche del default e l’inizio dell’era Putin

Quando il 17 agosto 1998 verrà dichiarato default in Russia, l’allora presidente Eltsin tentò di porvi rimedio sostituendo il premier Kirienko con il ministro degli Esteri Primakov. Di fatto, però, era stato proprio Eltsin a favorire la crisi col Far West economico degli anni precedenti, quando aveva promosso un’accentuata politica di deregolamentazione economica che spesso si era tradotta con la svendita di asset e titoli pubblici a oligarchi e fondi stranieri.

Sarà proprio in quel momento che Putin salirà alla guida del Servizio federale per la Sicurezza, sostituendo Kovalëv. Nel frattempo, la leadership di Eltsin, già anziano e molto indebolito, si faceva sempre più vulnerabile, tanto da portarlo a preparare la successione. A maggio 1999 Putin fu nominato Premier e il 31 dicembre Eltsin si dimise. Da qui comincerà l’era di Putin, che perdura ancora oggi.

Perché oggi il default è un’arma a doppio taglio per l’Occidente

Quello che Putin sa bene è che oggi, a distanza di 24 anni, un default in Russia potrebbe avere le stesse (enormi) conseguenze che ebbe nel 1998. La crisi mise fine alla classe politica degli anni ’90 e inaugurò un nuovo apparato di potere, oggi ben consolidato da Putin. Il rischio che il Paese e l’opinione pubblica imploda è più che realistico, per questo motivo le sanzioni rimangono l’arma principale dell’Occidente contro Mosca.

Va sottolineato che oggi però, a differenza di 24 anni fa, il mercato della Russia è molto più strutturato e interconnesso: un default trascinerebbe con sé il mondo intero, specie i mercati energetici. Il costo della guerra in Ucraina, l’uscita dallo Swift, il blocco dei commerci energetici e il tracollo del rublo potrebbero provocare “il crollo dell’Economia russa”, considerato dal ministro dell’Economia francese Le Maire una delle opzioni da considerare, visto che potrebbe significare anche la fine dell’era di Putin. Ma i costi potrebbero essere molto più alti di quelli del 1998.

Il rischio di una crisi globale

A causa delle sanzioni oggi Mosca non può accedere a gran parte delle riserve estere della Banca Centrale e non può finanziarsi sui mercati. Nei giorni scorsi, il Cremlino ha adottato un escamotage: con un decreto, ha stabilito che la Russia potrà ripagare in rubli il debito verso i creditori dei Paesi ostili (tra cui figura anche l’Italia). Ma, a causa delle sanzioni, questi soldi non potrebbero essere cambiati in dollari o euro. Il che scatenerebbe un “default event” che porterebbe a una crisi finanziaria globale e a fallimenti a catena. Uno scenario non appetibile per nessuno.

Per chi oggi si trova in mano cifre in rubli, che quindi non possono essere cambiate in euro o dollari, le conseguenze saranno “imprevedibili”. Per gli osservatori internazionali la possibilità di un default di Mosca è vicina e potrebbe essere decretata già intorno alla metà di aprile.

A rischio per la Russia ci sono circa 310 miliardi di dollari di debiti verso l’estero delle aziende, 75 miliardi di passivo delle banche e 67 miliardi di bond governativi. Ma il problema potrebbe allargarsi pure ad altre posizioni debitorie di Mosca, che ha debiti complessivi verso l’estero pari a circa 500 miliardi. In un mondo così interconnesso, quindi, auspicare un tracollo dell’economia russa è da miopi. E questo, per l’Occidente, rimane un grosso fardello, l’ennesimo, con cui fare i conti.

Leggi anche: Economia russa in ginocchio: rublo giù in picchiata (-30%)

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Classe 1998, romana. Laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali, ama l’attualità e la letteratura, ma la sua passione più grande è la sociologia, soprattutto se applicata a tematiche attuali. Nel tempo libero divora film e serie tv.
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