Il Covid-19 è in declino? Ecco cosa dicono gli studi più recenti

Il genoma del virus muta in continuazione, ma recenti studi mostrano che il Covid-19 sta iniziando a dare i primi segni di cedimento.

Clarice Subiaco
Clarice Subiacohttps://medium.com/@ClariceSubiaco
Classe 1986, passato di studi umanistici e presente nel mondo dei dati. In mezzo, esperienze di lavoro come Digital PR, Content Strategist e Project Manager per startup e agenzie internazionali. Ama raccontare l'innovazione che ha un forte impatto sociale.
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Inglese, brasiliana, sudafricana e ora indiana. Le varianti del Covid-19 si sono diffuse in questi mesi generando paure e timori sulla continua trasformazione di questo virus e sul fatto che queste potrebbero rendere inefficaci i vaccini. In realtà gli studi più recenti ci dicono che non è così. 

Il virologo Baldanti: “il virus sta incontrando una fase di declino”

Dal laboratorio di virologia molecolare del San Matteo di Pavia iniziano ad arrivare le prime parole di speranza. In una recente intervista su La Repubblica, il professor Fausto Baldanti ha anticipato i primi risultati dello studio dell’istituto lombardo che evidenziano diverse similarità tra le mutazioni dei diversi ceppi del virus:

Ciò che vediamo ci porta a pensare sempre più convintamente che il virus stia finalmente incontrando una fase che potremmo definire di declino.

Similitudini tra variante indiana, brasiliana e sudafricana

Dagli studi di sequenziamento è emerso che il virus, sì è in continua trasformazione, ma che queste mutazioni riguardano sempre gli stessi posti. Le due mutazioni della variante indiana si trovano nella posizione 484 e nella 452 della proteina spike. La prima è già stata osservata nella variante sudafricana e in quella brasiliana. Il nuovo ceppo causa in India il 10% dei contagi e si sta diffondendo con un ritmo nettamente inferiore rispetto alla variante inglese. L’impennata dei casi nel Paese non sarebbe dunque legata alla nuova variante ma ad altri fattori come i pellegrinaggi sul fiume Gange e le precarie condizioni sanitarie in cui versa il Paese. 

Il virus non può variare all’infinito

A seconda della loro posizione, le mutazioni rendono più o meno infettiva una variante rispetto all’altra. La mutazione alla posizione 501 della variante inglese ha permesso al virus di diffondersi molto più velocemente rispetto alla mutazione in posizione 484 di quella brasiliana. Gli studi del laboratorio di Pavia dimostrano però che il virus non può variare all’infinito. 

Abbiamo osservato che, se le mutazioni cominciano a ritornare nelle stesse posizioni, si è ad un punto in cui il virus potrebbe anche non evolvere. (…) Le posizioni non possono mutare all’infinito perché sono in numero limitato. Ora stiamo osservando mutazioni che tornano negli stessi punti. Questo suggerisce che il virus possa essere nella condizione di stare esaurendo le possibilità di mutazione che ha nella zona di aggancio della proteina. Parlo della mutazione 484, trovata per la prima volta nel gennaio scorso, che abbiamo riscontrato nella variante brasiliana, e poi anche in quella sudafricana, associata alla mutazione 417. Ed infine a quella indiana, associata alla mutazione 452. 

Queste somiglianze fanno sperare che effettivamente il Covid non sia in grado di mutare ulteriormente e che dunque stia esaurendo le sue capacità di sopravvivenza. Questo farà sì, come ipotizzato già da numerosi studiosi, che diventi endemico e si trasformi in una banale influenza stagionale o raffreddore.

Il virus ha lo scopo di trasmettersi più velocemente, non i forma più grave

Secondo un articolo sulla rivista Nature, il 2021 sarà l’anno delle varianti, per questo diventerà sempre più cruciale mappare il genoma dei ceppi in circolazione. Tuttavia, gli esperti rassicurano su alcuni aspetti legati alla natura stessa del virus. Le varianti inglese, sudafricana e brasiliana del virus si sono mostrate più facilmente trasmissibili e questo è spiegabile con il fatto che per sopravvivere il virus ha bisogno di trovare nuovi ospiti da infettare il più velocemente possibile. Al contrario, una mutazione che provochi un decorso più grave sarebbe controproducente perché sarebbe più facilmente riconoscibile e quindi circoscrivibile, come è accaduto per la Sars.

L’importanza del sequenziamento genomico per comprendere le mutazioni del virus

Le mutazioni del virus osservate finora sono oltre 4.000 e vengono studiate attraverso il sequenziamento genomico del Covid-19, ovvero lo studio del suo DNA. È grazie a questo studio che è stata individuata la ormai nota proteina spike che ha reso possibile la realizzazione dei vaccini finora utilizzati. Il primo a studiare il genoma del Sars-Cov-2 è stato un gruppo di ricercatori cinesi e australiani che per la prima volta hanno pubblicato l’intera sequenza genomica del virus a gennaio 2020, dopo i primi casi di polmonite sospetta a Wuhan in Cina. 

Danimarca e Regno Unito esempi di virtuosi di sequenziamento

In Europa, la Danimarca ha sequenziato il 15% dei casi ed è la prima in Europa, seguita da Regno Unito con il 5%. L’Italia invece è in fondo alla classifica con lo 0,034% di casi sequenziati. Gran Parte dei genomi analizzati in Europa è archiviata all’interno dei GISAID, un database online senza scopo di lucro a cui partecipano 140 Paesi nel mondo e che contiene oltre 400.000 sequenze di Sars-Cov-2 di cui quasi la metà generata in UK. 

Campania e Abruzzo migliori regioni per il sequenziamento

Il problema dell’Italia è la mancanza di un coordinamento centrale per il sequenziamento del genoma del virus. Esiste una sorta di consorzio spontaneo formato da iniziative delle singole regioni. Secondo l’Università di Padova l’obiettivo da raggiungere sarebbe di sequenziare almeno il 5% dei casi Covid-19. Ad oggi in Italia la Campania è l’unica regione che ci riesce. Secondo il genetista dell’Università di Trieste Marco Gerdol:

La Campania sta facendo bene con un progetto regionale messo in piedi appositamente per l’emergenza Covid e guidato da Tigem (istituto Telethon di genetica e medicina di Pozzuoli) grazie a uno stanziamento di 7 milioni di euro da parte della Regione: ha iniziato a produrre buoni dati a partire da febbraio. Se le altre regioni si avvicinassero a questi livelli sarebbe già un fatto positivo.

Anche l’Abruzzo sta facendo un buon lavoro per quanto riguarda il sequenziamento genomico del virus. L’Abruzzo è stata infatti la prima regione a scoprire i primi cluster della variante inglese e oggi processa anche i campioni di Umbria e Molise. Nota negativa per la Lombardia che invece ha sequenziato finora solo poche centinaia di genomi.

Leggi anche: Covid-19: i vaccini Moderna e Pfizer sono efficaci contro le varianti del virus

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