Carlo Giuliani, 20 anni dai tragici fatti del G8 di Genova, il padre: “Mio figlio non meritava di morire”

Carlo Giuliani è tristemente diventato simbolo di una delle pagine più oscure d'Italia, dopo 20 anni dalla sua morte c'è chi chiede ancora giustizia.

Tommaso Panza
Tommaso Panza
Salentino, classe 1993. Una laurea in mediazione linguistica. Fondazione Basso(Roma). Amante della lettura e del cinema, in particolare delle opere che raccontano spaccati di realtà. Deciso sin da piccolo a diventare un giornalista.
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Il 20 luglio 2001 Carlo Giuliani, che oggi avrebbe 43 anni, perdeva la vita durante gli eventi violenti e tragici che scandirono il G8 di Genova. Il giorno successivo avvennero i fatti della scuola Armando Diaz, due episodi di sangue che hanno influenzato per sempre la storia del nostro paese.

Perché Carlo Giuliani è diventato il simbolo di una delle pagine più buie della storia italiana recente

Quando la storia di un paese, specialmente quella recente e in questo recente potremmo contare un arco di 30 anni, è ricordata anche attraverso la morte di giovani vite o di vite innocenti, vuol dire allora che forse quel paese potrebbe essere ancora ben lontano dal raggiungere uno status di “paese civile”.

I fatti del G8 di Genova sono ben impressi nella mente di tutti nonostante siano passati 20 anni, non si dimenticano cose così. Quattro giorni di guerriglia urbana da fare invidia ai poco rimpianti anni di piombo.

Giorni che alla fine segneranno un bollettino da guerra civile: 560 feriti e 360 arresti a cui seguiranno negli anni 62 manifestanti e 85 membri delle forze dell’ordine sotto processo.

Il bilancio della vittime segna un morto, un ragazzo di 23 anni, poteva essere chiunque, quel chiunque porta il nome di Carlo Giuliani.

Ucciso con un colpo di pistola allo zigomo, in piazza Alimonda, esploso dal carabiniere Marco Placanica.

Quest’ultimo prosciolto Il 5 maggio 2003 dal GIP Elena Daloiso per “uso legittimo delle armi e legittima difesa”. Nessun processo dunque.

Spesso il concetto distorto che l’immaginario comune contribuisce ad alimentare è quello che ricordare le morti come quelle di Carlo Giuliani serva a santificare la vittima, non è così.

Serve a ricordarci che un paese democratico non dovrebbe mai macchiarsi della morte di un giovane e soprattutto non dovrebbe lavarsene le mani, dovrebbe tutelare a ogni livello i diritti dei propri cittadini, quello ideologico in primis.

Chi contribuisce a mantenere l’ordine nelle strade non è un servitore dello stato, ma del popolo. Carlo Giuliani è stato ucciso da quel paese che avrebbe dovuto proteggerlo.

Il padre di Carlo Giuliani: “Lo Stato non ha avuto dignità”

Il padre di Carlo Giuliani: "Lo Stato non ha avuto dignità"

Giuliano Giuliani, papà di Carlo, nel ventennale che ricorre la scomparsa del figlio è tornato a parlare dei fatti del G8 di Genova che ne decretarono la morte, parla così ai microfoni di Skytg24:

Mi chiedo come si possa considerare quello subito dai carabinieri un attacco terribile dei manifestanti, quando un filmato della polizia mostra che dal momento della fuga dei carabinieri allo sparo passa un minuto.

Eppure queste sono state le dichiarazioni degli ufficiali dei carabinieri, che considero persone inadeguate a ricoprire quell’importante ruolo che dovrebbero svolgere.

La dignità dello Stato non c’è stata, perché non ha riconosciuto che pezzi fondamentali del suo esistere avevano sbagliato.

Sono passati vent’anni. Per un genitore il tempo conta poco.

Perdere un figlio è la cosa più terribile che possa capitare.

Ogni giorno il mio pensiero e quello di mia moglie Haidi torna a quel 20 luglio.

Dopo vent’anni, però, voglio ribadire le mancate risposte al Paese. Resta la ferita di quel processo che non si è mai fatto.

Per Carlo, la cosa più grave è stata l’archiviazione.

Archiviato. Non è stato concesso neanche un processo. Non sempre, ma a volte, i processi consentono di raggiungere la giustizia e soprattutto la verità di quello che è successo.

Ha fatto anche i suoi errori – racconta il padre – ma un ragazzo di 23 anni non merita di morire così.

Di lui rimangono le persone che vorrebbero giustizia per quello che è accaduto a Genova. Rimangono i ricordi, la gente ogni anno da vent’anni ormai, in piazza Alimonda

Stop all’abuso della violenza da parte delle forze dell’ordine

Stop all'abuso della violenza da parte delle forze dell'ordine

Il ventennale del G8 di Genova ricorre proprio nel periodo in cui sono venuti alla luce i fatti del carcere di Santa Maria Capua Vetere, grazie all’inchiesta del quotidiano Domani, dove lo scorso 6 aprile 2020 gli agenti di polizia penitenziaria della struttura detentiva si sono resi responsabili di un pestaggio violentissimo durato 4 ore a danno dei detenuti inermi.

Pestaggio ripreso dalla telecamere a circuito chiuso per cui sono scattati 52 ordini di custodia cautelare tra dirigenti e agenti della casa circondariale casertana.

Un episodio che ha richiamato la “macelleria messicana” perpetrata dalle forze dell’ordine all’interno della scuola Armando Diaz di Genova proprio il giorno dopo la morte di Carlo Giuliani, 21 luglio 2001.

I disordini scoppiati nelle carceri all’inizio della pandemia hanno recentemente portato alla luce numerosi abusi che potrebbero essere avvenuti da parte della forze dell’ordine.

Come se il carcere fosse una zona franca dove indossare la divisa ti rende padrone di esercitare una repressione psicologica e fisica su chi è stato portato lì dentro per essere rieducato e reinserito nella società a fine pena.

Certo non bisogna mai fare di tutta l’erba un fascio, ne esercitare una gogna mediatica sulla categoria, ma chi indossa una divisa non deve far rispettare semplicemente la legge a qualunque prezzo, ma deve tutelare i diritti e la sicurezza di quello stato che ha giurato di proteggere, che non è lo stato delle stanze di palazzo ma quello composto dal popolo.

Cosa più importante ancora: chi indossa una divisa deve essere lucido per potere esercitare una responsabilità così grande.

Alcuni dei casi più gravi che hanno visto coinvolte le forze dell’ordine

A 20 anni dalla morte di Carlo Giuliani l’abuso della violenza da parte delle forze dell’ordine non ha mai smesso di essere un dibattito aperto, anzi si è tragicamente arricchito di altri eventi:

Federico Aldrovandi, uno studente ferrarese di diciotto anni, la cui morte è avvenuta il 25 settembre 2005 durante un controllo di polizia.

Giuseppe Uva, 43 anni, morto il 14 giugno 2008 dopo che, nella notte tra il 13 e il 14 giugno, era stato fermato da due carabinieri che lo portarono in caserma, dalla quale venne poi trasferito, per un trattamento sanitario obbligatorio, nell’ospedale di Varese, dove morì la mattina successiva per arresto cardiaco.

I carabinieri e i poliziotti coinvolti nelle indagini sono stati assolti con formula definitiva l’8 luglio 2019. La famiglia di Giuseppe ancora oggi è in attesa di verità e giustizia.

Stefano Cucchi, 31 anni, morto a Roma il 22 ottobre 2009 mentre era sottoposto a custodia cautelare. La Corte d’Assise di Roma ha condannato i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro a 12 anni per omicidio preterintenzionale.

Nei casi in cui gli agenti sono stati condannati per questi omicidi, ma anche nel caso del carcere di Santa Maria Capua Vetere, oltre che nella violenza attuata durante il G8, specie durante la mattanza della Diaz, a posteriori un solo tratto ha accomunato tutti questi fatti fino alle condanne: l’omertà.

Un qualcosa che all’interno delle forze dell’ordine non dovrebbe nemmeno essere pensato. Oggi più che mai è attuale e fondamentale la richiesta di inserire codici identificativi sulle divise degli agenti. Una petizione è stata già lanciata su Change.org a questa ha fatto seguito l’appello di Amnesty Italia.

Ed ecco perché oggi più di ieri la morte di Carlo Giuliani resta tristemente attuale.

Leggi: Mattanza di Santa Maria Capua Vetere, il giornalista Nello Trocchia: “Un depistaggio di stato organizzato”

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