Attacco Usa Iran. È la Terza Guerra Mondiale?

Aldo Torchiaro
Aldo Torchiaro
Aldo Torchiaro, giornalista da quando si usavano le macchine da scrivere, si occupa oggi di innovazione digitale, nuovi media, e-democracy.
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Un missile teleguidato al posto di una rivoltella. Ma per l’impatto che il colpo avrà sulla storia, l’eliminazione da parte americana di Qassem Souleimani corrisponde alla revolverata di Sarajevo con cui si è dato fuoco alle polveri della prima guerra mondiale. Questa però sarà la terza, e secondo più di una predizione, l’ultima. È stato Donald Trump a ordinare l’esecuzione; con la motivazione – vera o presunta – di dover sventare un imminente attentato contro forze americane in quell’Iraq che è ormai terra di tutti e di nessuno, e dunque permeabile e permeato dal suo storico nemico, l’Iran. Certo, è stato un bingo che permette a più di un asset strategico di riallinearsi. Trump – in stato d’accusa e indebolito in tutti i sondaggi – veste l’ideale divisa del Comandante in Capo delle forze armate, uno statuto speciale cui l’immaginario collettivo americano conferisce pieni poteri. Si cava contestualmente d’impaccio rispetto alla inesorabile scadenza delle promesse irrealizzate e dei conti che presenta il Tesoro.

I primi mesi del 2020

Tra questi, l’insostenibilità delle politiche di stimolo fiscale che sostengono il Pil americano, che entro i primi mesi del 2020 scadranno; i dazi voluti proprio da Trump e la battaglia commerciale in atto; le politiche monetarie, con pressioni da stagflazione che porteranno la Fed ad alzare i tassi, con le restrizioni agli investimenti verso gli Usa e degli Usa nel mondo; i segnali di instabilità e di correzioni brusche nei mercati azionari americani e globali; il rallentamento della crescita mondiale e in particolare dell’Europa. Una guerra, si sa, è quel che ci vuole. Rilancia tutti i parametri macroeconomici e rinsalda il consenso: un toccasana, soprattutto nei periodi elettorali. E tale è per gli Stati Uniti, dove Trump, che aveva promesso di occuparsi solo di questioni interne, adesso si improvvisa sceriffo del Medio Oriente e guardiano del mondo.

Le posizioni più congeniali

Ma anche per Israele, dove Netanyahu – indagato e di fatto già fuori dalle liste elettorali –beneficia di un insperato conflitto che lo proietta di nuovo in corsa. Come per la Turchia di Erdogan, che da redivivo negoziatore diplomatico e insostituibile avamposto Nato, può farsi perdonare gli eccessi sui curdi. Ed è un elisir di lunga vita per i sauditi, mai così in crisi dopo il caso Khassogi, screditati agli occhi dell’Occidente e degli alleati americani ed oggi indispensabili fornitori di basi e di supporto logistico. Un conflitto che riappacifica il Libano, fino a ieri sconvolto da una profonda divisione interna. E che accontenta anche gli Emirati Arabi Uniti, nel perenne scontro con Doha, dialogante con Teheran. Com’è lo Yemen, di cui si sottovaluta spesso il 45% di popolazione sciita, alla ricerca di una legittimazione pubblica. Siamo dunque davanti a una palingenesi globale. Un riequilibrio di contrappesi che vede il Pakistan e l’Indonesia al lato dell’Iran e dunque l’India, il paese asiatico che cresce di più, come miglior alleato degli Stati Uniti. E se la Russia di Putin guadagna la sua posizione favorita, quella in riva al fiume in attesa di veder scorrere entrambi i cadaveri dei suoi nemici, la Cina di Xin Jin-Ping offre la sua diplomazia per evitare il peggio, e diventa il miglior cliente del petrolio iraniano, venduto a Pechino ad un prezzo di favore rispetto al listino internazionale, in cambio di assistenza logistica e militare. Davvero ciascuno può ritrovarsi, nel nuovo ordine di questo inizio di anni Venti, nella sua posizione più congeniale.

Il conflitto mondiale sconveniente per l’Europa

A chi questo conflitto mondiale conviene meno, è l’Europa. L’aumento del costo del petrolio frenerà ulteriormente il debole pil dell’eurozona, comprimendo tanto il settore energetico (Francia, Spagna, Olanda) quanto quello dell’automotive (Germania e Italia). L’incremento della spesa militare, della richiesta di intervento in ambito di operatività Nato e delle tensioni securitarie interne – legate alla stretta sul fenomeno migratorio dal mondo arabo – rischiano di rinfocolare le pulsioni sovraniste e di creare un elemento di ulteriore debolezza nella governance europea. Gli emuli di Trump in sedicesimo beneficeranno di una rendita di posizione. Europeisti, globalisti, verdi dovranno fare un passo indietro. Il nuovo decennio si apre sotto auspici nefasti ma proprio per questo, con una indicazione di rotta inequivocabile: solo se la diplomazia internazionale e il multilateralismo sapranno riconquistare un ruolo di primo piano, l’Europa eviterà il peggio.   di Aldo Torchiaro

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