Afghanistan, il fallimento della folle guerra da 3mila miliardi: cosa succederà adesso?

Afghanistan: dopo 20 anni tornano i talebani, nonostante i miliardi stanziati dall'Occidente per l'esercito afghano. La ritirata Usa è una promessa non mantenuta, mentre Pechino e Mosca restano. Quali saranno gli scenari futuri?

Asia Buconi
Asia Buconi
Classe 1998, romana. Laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali, ama l’attualità e la letteratura, ma la sua passione più grande è la sociologia, soprattutto se applicata a tematiche attuali. Nel tempo libero divora film e serie tv.
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L’azione di conquista dei talebani ha fatto ripiombare l’Afghanistan a 20 anni fa. Il gruppo radicale islamista, dopo il ritiro delle truppe statunitensi, si è reso protagonista di una fulminea riconquista territoriale, culminata con la presa della capitale, Kabul. Se fino all’altroieri gli esperti occidentali confidavano nell’esercito regolare afghano e parlavano di “una resistenza di almeno tre mesi”, sicuri che si sarebbe raggiunto un accordo per la formazione di un “governo di transizione”, oggi quelle previsioni sono rovinosamente sfumate. Ieri il presidente Usa Joe Biden ha parlato al mondo, spiegando i motivi della ritirata e quelli che spinsero l’allora presidente Bush junior a intervenire in Afghanistan nell’autunno 2001, dopo l’attentato alle Twin Towers.

L’obiettivo degli Stati Uniti in Afghanistan era di impedire attaccchi terroristici in America, la missione era smantellare al Qaeda ed è stata raggiunta: abbiamo ucciso Bin Laden e cambiato un percorso che stava diventando scivoloso. Creare una democrazia unificata e centralizzata non è mai stato l’obiettivo” né per gli statunitensi, né per la coalizione Nato lanciata in Afghanistan nel 2001. Biden si è detto fermamente convinto della legittimità della scelta di ritirare le truppe, ereditata in realtà dal predecessore Donald Trump: “Abbiamo dato al governo afghano ogni strumento per decidere del suo futuro, continueremo a sostenerli attraverso la diplomazia così come facciamo in tutto il mondo, i diritti umani hanno un posto d’onore nella nostra politica estera”, ma ha aggiunto anche che “non possiamo restare all’infinito”.

Anche perché, ha concluso l’inquilino della Casa Bianca, “non chiedo alle nostre forze di combattere una guerra civile senza fine, è sbagliato ordinare alle truppe americane di combattere e morire quando le stesse truppe dell’Afghanistan non lo fanno”. Il fantasma del Vietnam e delle altre disastrose “guerre infinite” portate avanti dagli Usa in passato aleggia tra le parole del Presidente Joe Biden. Ma, di fatto, resta un’evidenza: gli Stati Uniti hanno abbandonato l’Afghanistan al proprio destino. Così come fatto con i curdi, gli Usa hanno lasciato completamente solo anche il popolo afghano, nonostante fosse ormai divenuto un vero e proprio baluardo contro l’islamismo mentre adesso, invece, ne è suddito. Per quanto Biden parli di obiettivi raggiunti, la ritirata Usa ha tutte le caratteristiche di una promessa tradita.

Afghanistan: miliardi di dollari all’esercito e adesso riabbiamo i talebani. L’Italia ha speso quasi 9 miliardi

Afghanistan: miliardi di dollari all'esercito e adesso riabbiamo i talebani. L'Italia ha speso quasi 9 miliardi

La guerra ventennale in Afghanistan è stata per gli Stati Uniti una delle più costose in assoluto: stando ai dati elaborati da howmuch.net nel 2019, si tratterebbe del conflitto più oneroso dopo la Seconda Guerra Mondiale e l’impegno bellico in Iraq. Le operazioni di combattimento sono costate agli Usa quasi mille miliardi di dollari, a cui vanno aggiunti 530 miliardi per gli interessi dei debiti contratti per finanziare le operazioni militari, 292 miliardi per le cure dei veterani e altri 443 miliardi in più sul bilancio per finanziare operazioni legate al conflitto. La cifra totale, pari circa a 2,261 trilioni di dollari, non include né le spese per assistere i veterani né quelle volte al pagamento degli interessi sui prestiti contratti per finanziare la guerra. Senza contare i costi umani del conflitto: 241mila persone sono morte come conseguenza diretta della guerra, ma a esse vanno aggiunti quei decessi dovuti alle malattie e alle consgeuenze indirette del conflitto (malattie, mancanza di cibo e acqua, assenza di infrastrutture).

Da considerare anche i soldi spesi dagli Stati Uniti per finanziare l’esercito afghano, quello che avrebbe dovuto combattere per difendere (o quantomeno per provare a proteggere) il debolissimo governo “fantoccio” del Presidente Ashraf Ghani, per cui nessuno nell’esercito, ovviamente, è voluto morire. Questo spiega anche le centinaia di disertori che dall’esercito sono passati tra le fila dei talebani. Ed è stato proprio Ghani a dimostrare tutta la sua inadeguatezza, fuggendo in Uzbekistan nell’esatto momento in cui infuriava l’avanzata talebana con l’intenzione, annunciata via Facebook, di “evitare un bagno di sangue”. Per quell’esercito, stando ai dati dell’agenzia del congresso americano Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction, gli Stati Uniti hanno speso circa 8,3 miliardi di addestramento, 18,3 miliardi per l’equipaggiamento, 9,2 miliardi per le infrastrutture e 33 miliardi per gli stipendi.

Anche il bilancio italiano non è dei migliori: stando a quanto riportato da Il Fatto Quotidiano, in venti anni in Afghanistan il nostro Paese ha contribuito alla guerra con 50mila soldati, 53 caduti, 723 feriti e una spesa totale di 8,7 miliardi di euro, di cui 840 milioni sono stati investiti solo nel 2015 per addestrare l’esercito afghano, quello che si è praticamente consegnato ai talebani. Un fallimento evidente, come sottolineato da Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete Italiana Pace e Disarmo, che ha detto: “Un costo extra di 840 milioni investiti per un esercito che in 10 giorni si è arreso ai talebani, qualcosa è andato storto: abbiamo addestrato un sistema di forze armate corrotto e inadeguato. Lo dimostra il numero di fucili e mitragliatori dati per ‘persi’ ma in realtà venduti: 150mila solo tra quelli forniti da Usa e Uk”.

Afghanistan: la resistenza del Panshir e le mire di Pechino e Mosca

Rimane una fioca luce di speranza, quella rappresentata dal Panshir, che, come venticinque anni fa, si è consolidato come ultimo (e unico) fronte di resistenza ai talebani: la provincia del nord-est, infatti, è l’unica a non essere ancora caduta in mano agli insorti. Da qui arrivano gli appelli e le richieste di aiuto di Ahmad Massud, figlio del leggendario comandante Massud: dopo la presa di Kabul, il giovane è riuscito a fuggire e a rifugiarsi in Panshir e adesso è da lì che chiede l’appoggio del mondo alla “resistenza”. “Ho ereditato da mio padre, l’eroe nazionale e comandante Massud, la sua lotta per la libertà, questa lotta ora è mia, per sempre, io e i miei compagni siamo pronti a versare il nostro sangue, insieme a tutti gli afghani liberi che rifiutano la schiavitù e che io chiamo a unirsi al nostro bastione del Panshir”.

Poi, l’appello al mondo: “Mi rivolgo a tutti voi, in Francia, in Europa, in America, nel mondo arabo, o altrove, che ci avete aiutato tanto nella nostra lotta per la libertà, contro i sovietici in passato, contro i talebani 20 anni fa: ci aiuterete ancora? Siamo nella stessa situazione dell’Europa nel 1940. Siamo rimasti soli. Non ci arrenderemo mai”. Ma mentre l’Occidente fugge in fretta e furia dall’Afghanistan, Mosca e Pechino rimangono. La Cina è pronta a instaurare “relazioni amichevoli” con i nuovi padroni, con i quali si è complimentato pure Hamas. I Russi, da parte loro, decideranno se riconoscere o meno il regime talebano in base a come governerà. Di fatto, l’allontanamento statunitense potrebbe portare a nuove minacce terroristiche, ma apre pure per Pechino l’allettante prospettiva di espandere ancor di più la propria influenza in Asia Centrale, e lo stesso vale per Mosca. C’è però un ulteriore grattacapo per i cinesi: la condivisione con gli afghani di un brevissimo tratto di frontiera (76 km), estremamente delicato per la questione uigura e le spinte secessioniste.

Ora la Cina dovrà adoperarsi per coinvolgere l’Afghanistan nel cosiddetto corridoio sino-pakistano, una rete di oleodotti, strade e centrali che collegano Kashgar al porto di Gwadar: divengono sempre più stretti i rapporti tra cinesi e pakistani, con Pechino che farà di tutto per consolidare ancor di più tale relazione in modo da guadagnare dai talebani a Kabul (vicini al Pakistan) il supporto contro le forze secessioniste. La “ferita sanguinante” afghana, così Gorbaciov definì il ritiro sovietico nel 1989 dopo il conflitto decennale, fa ancora male ai russi, che stanno accrescendo la propria potenza militare: l’allarme terrorismo spaventa anche Mosca.

Afghanistan, svolta moderata dei talebani. L’esperto: “Antiterrorismo da remoto è complesso, toccherà trattare coi fondamentalisti”

Fare previsioni adesso sul futuro dell’Afghanistan non è semplice. Solo il tempo svelerà le autentiche intenzioni dei talebani e il ruolo che le potenze decideranno di assumere nello scacchiere internazionale. Michael O’Hanlon, analista esperto di Difesa della Brooking Institution, intervistato da La Repubblica, ha detto: “In Afghanistan stavamo lavorando bene, con buone possibilità di successo: meritava più sostegno. La speranza, ora, è che il futuro afghano somigli al Vietnam post 75: un governo più misurato di quanto ci aspettiamo, capace di migliorare la vita della gente, aperto a un futuro dialogo, dipenderà dalle dinamiche interne dei talebani: il braccio di ferro tra moderati, in cerca di riconoscimento esterno, e i fondamentalisti interessati solo a dominare su un Paese chiuso. C’è il rischio di una nuova guerra civile”.

E, sulla minaccia terroristica, O’Hanlon ha aggiunto: “Abbiamo gli strumenti per affrontare le minacce, inclusi satelliti e droni, ma fare antiterrorismo da remoto è complesso. Ma i talebani non sanno quanto rischiano ad allearsi nuovamente coi terroristi: sarebbero colpiti duramente, terremo a bada la minaccia. Ma ci toccherà trattare coi fondamentalisti, alternando incentivi e minacce. Sarà difficile, ma non c’è altra soluzione”. I talebani, nel frattempo, promettono un’amnistia e invitano le donne a entrare al governo, ma “secondo le regole della Sharia”, come annunciato da Enamullah Samangani, membro della commissione Cultura degli Insorti. Svolta moderata per i talebani? Solo gli sviluppi futuri potranno dircelo.

Leggi anche: Afghanistan, perché l’esercito addestrato dall’Occidente si è arreso ai talebani

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