Addio Maldive, sott’acqua fra meno di un secolo

Le Maldive, uno dei più idilliaci paradisi terrestri rischia di venir sommerso prima del prossimo secolo. Diving Maldives, il progetto fotografico, a cura di Giulia Piermartiri e Edoardo Delille, fa riflettere.

Asia Solfanelli
Asia Solfanelli
Intraprendente e instancabile penna, poliglotta, appassionata lettrice e avida viaggiatrice. Sviscerata amante del cinema. E ultimo, ma non per importanza, eterna studiosa, perché non si finisce mai d’imparare.
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Le Maldive, secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite, saranno il primo stato al mondo a sparire per via delle conseguenze del cambiamento climatico, rischiando di venir già parzialmente sommerse entro la fine del secolo. In accordo con la legge dell’adattamento di Darwin sembra proprio che i maldiviani, se vorranno sopravvivere, dovranno, entro il 2100, sviluppare le branchie, oppure andarsene e abbandonare le proprie amate terre al mare.

Diving Maldives: due fotografi raccontano il dramma dell’ultimo paradiso

Le circa 1200 isole che formano l’arcipelago delle Maldive sono note soprattutto per le spiagge paradisiache e le acque cristalline che le circondano, i resort esclusivi e le attività subacquee che ogni anno attraggono milioni di visitatori. Gli atolli, però, sono anche la dimora di circa 400mila maldiviani.

Con il progetto fotografico Diving Maldives, un viaggio attraverso quelle terre abitate unicamente da autoctoni o immigrati e lontane dall’attenzione della maggior parte dei visitatori, Giulia Piermartiri e Edoardo Delille ci scaraventano in futuro che vorremmo ignorare o forse sapere distante, ma che invece è quanto mai prossimo. Proiettando su strade e abitazioni, come slide, foto scattate sott’acqua dai turisti, i due fotografi ci lasciano letteralmente immergere nel nefasto destino che incombe sugli abitanti e sulle future propaggini di un’antica e malcapitata popolazione.

Leggi anche: Queste isole devono essere assolutamente visitate prima della loro scomparsa. Ecco quali

Maldive, salvarle è possibile: il primo passo? Essere consapevoli

L’acqua non è alla gola, è ben sopra le nostre teste e anche tra i cangianti colori che accendono l’abisso maldiviano l’atmosfera non è da sogno, ma da incubo: il messaggio del reportage fotografico arriva diretto. Facce serie e sorrisi smorzati sono quelli degli astanti: quelli di grandi famiglie, adulti e bambini, studenti e imprenditori consapevoli delle conseguenze di una perseverata noncuranza nei confronti della natura e dell’ambiente.

Ridurre l’impatto ambientale significa attenzione e accortezza nello smaltimento dei rifiuti, forte moderazione nell’utilizzo di sostanze e mezzi inquinanti, predilezione di fonti e materiali rinnovabili e uso consapevole delle risorse che il nostro pianeta ci offre. Ma, ancor di più, significa rispetto e gratitudine per ciò che ci è stato dato senza chiedere nulla in cambio.

Maldive, le nuove politiche per salvare un ecosistema fragile

Dopo 30 anni di dittatura e un susseguirsi di governi la cui preoccupazione era lucrare sul turismo, oggi, finalmente, le nuove politiche dell’arcipelago sembrano adoperarsi con zelo per preservare questo fragile ecosistema. Educazione al riciclo e alla sostenibilità nonché recluta di volontari per la pulizia settimanale delle spiagge sono solo i primi passi verso un’economia più verde.

Sensibile al problema ambientale, già dal 2009 l’Università degli Studi Milano Bicocca collabora con i colleghi maldiviani: attraverso il MaRHE, The Marine Research and High Education Center, docenti, studenti e ricercatori italiani si dedicano allo studio di soluzioni eco-friendly.

Leggi anche: “È fondamentale risolvere il problema dei cambiamenti climatici”, la lettera degli scienziati alle Istituzioni

Non solo Covid, le Maldive ci uniscono contro i cambiamenti climatici

Con il sostegno del governo, oggi, sono numerose le iniziative che proprio in queste idilliache regioni si stanno impegnando per uno sviluppo sostenibile. Tuttavia, l’errore più grande che possiamo commettere è quello di considerare remoti e locali problemi che in realtà riguardano il nostro intero ecosistema.

Se la pandemia, in questo senso, ci ha dato e continua a darci una lezione importante rendendoci tutti potenziali vittime di un male che non fa distinzioni di sesso, razza, origini o collocazione geografica, Diving Maldives, invece, ci ricorda, come scriveva Martha Medeiros, che “essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare”.

Innalzamento del livello del mare, la reale minaccia: l’esempio delle Maldive

Il riscaldamento globale ha tra i suoi principali e più drammatici effetti quello dell’innalzamento del livello del mare. Tale innalzamento è, e sarà, legato all’espansione termica degli oceani, a quell’aumento del volume delle acque direttamente proporzionale alla temperatura delle stesse. Gli oceani assorbono calore dall’atmosfera e, quando quest’ultima si riscalda, a mari e oceani spetta la stessa sorte.

Il volume dell’acqua calda è maggiore rispetto a quello dell’acqua fredda e, di conseguenza, l’aumento del livello del mare è inesorabile. Non solo, il riscaldamento di mari e oceani è anche causa primaria dello scioglimento dei ghiacciai, di quasi tutta la perdita del ghiacciaio antartico e di metà di quello della Groenlandia: massa ghiacciata che confluendo nelle acque si traduce, inevitabilmente, in crescita del livello marino. Dagli anni ’90 questa fusione ha generato un innalzamento del livello dei mari di 1,8 cm: è veramente troppo.

Stiamo davvero sprofondando in un abisso?

Le cause del surriscaldamento globale, naturali e soprattutto antropiche, son ben note e se le prospettive sembrano piuttosto avvilenti, l’Emissions Gap Report, che ogni anno valuta il divario tra emissioni previste per il 2030 e i livelli coerenti con gli obiettivi di 1,5°C e 2°C dell’Accordo di Parigi, ci ammonisce di ricordare che i cambiamenti climatici possono ancora, e devono, essere limitati. Il primo trattato a sancire l’impegno delle Nazioni Unite per la limitazione dell’emissione di gas serra risale all’ormai lontano 1992. Ma oggi l’allarme suona molto più forte e con persistenza ci prega di rispondere e agire, e a farlo subito: entro 10 anni servono risultati, non frivoli esiti di vani tentativi.

Prendere consapevolezza del problema è il primo passo, credere che anche minimi accorgimenti possano fare la differenza è il successivo. Siamo chiamati a renderci conto di tutta la bellezza che ci circonda e a preservarla, tenendo bene a mente che anche i più piccoli gesti, sono grandi contributi per salvare il nostro cagionevole pianeta. Siamo capaci di molto, si impara quando se ne ha il dovere, si impara quando si vuole una via d’uscita. L’uomo con il suo sguardo è capace di illuminare la natura di una luce nuova, Antonin Artaud scriveva che “per capire un girasole in natura bisogna prima rivedere Van Gogh”.

di Asia Solfanelli

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