Santa Maria Capua Vetere, in 108 alla sbarra: nel processo potrebbe finire anche la morte di Lakimi Hamine

I 108 agenti penitenziari, responsabili del pestaggio di stato nel carcere casertano avvenuto il 5 aprile 2020, sono stati rinviati a giudizio. Nel processo potrebbe anche finirci il caso della morte del detenuto algerino con problemi psichici Lakimi Hamine, morto un mese dopo i pestaggi.

Tommaso Panza
Tommaso Panza
Salentino, classe 1993. Una laurea in mediazione linguistica. Fondazione Basso(Roma). Amante della lettura e del cinema, in particolare delle opere che raccontano spaccati di realtà. Deciso sin da piccolo a diventare un giornalista.
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Santa Maria Capua Vetere, le violenze in carcere che hanno portato al pestaggio di stato avvenuto il 5 aprile 2020 nel carcere casertano finiranno a processo.

La Procura di Santa Maria Capua Vetere per la vicenda delle violenze in carcere ai danni dei detenuti ha chiesto il rinvio a giudizio per 108 tra agenti e funzionari dell’amministrazione penitenziaria.

Per 12 indagati è stata chiesta l’archiviazione ma è probabile che ai 12 venga comunque notificato un decreto penale di condanna sotto forma di ammenda da pagare, per non aver, in qualità di pubblici ufficiali, denunciato quello che stava accadendo in carcere. L’udienza preliminare si terrà mercoledì 15 dicembre (9.30).

Santa Maria Capua Vetere: nel processo per le violenze in carcere potrebbe finirci il caso della morte di Lakimi Hamine

Santa Maria Capua Vetere: nel processo per le violenze in carcere potrebbe finirci il caso della morte di Lakimi Hamine

Al centro della vicenda le violenze commesse da agenti della polizia penitenziaria nel carcere sammaritano il 5 aprile 2020.

Tra coloro che rischiano il processo e che sono stati rinviati a giudizio vi sono Pasquale Colucci, comandante del Nucleo Operativo Traduzioni e Piantonamenti del centro penitenziario di Secondigliano e comandante del gruppo di “Supporto agli interventi”, tuttora agli arresti domiciliari.

L’ex capo delle carceri campane Antonio Fullone, interdetto dal servizio, Tiziana Perillo, comandante del Nucleo Operativo Traduzioni e Piantonamenti di Avellino, Nunzia Di Donato, comandante del nucleo operativo “Traduzioni e piantonamenti” di Santa Maria Capua Vetere.

Anna Rita Costanzo, commissario capo responsabile del reparto Nilo (ai domiciliari), l’ex comandante della polizia penitenziaria del carcere di Santa Maria Capua Vetere Gaetano Manganelli (ai domiciliari).

I reati contestati a vario titolo sono quelli di tortura, lesioni, abuso di autorità, falso in atto pubblico e cooperazione nell’omicidio colposo di un detenuto algerino.

Per la morte del detenuto extracomunitario, tra le vittime delle violenze, l’accusa riguarda 12 indagati. L’udienza è stata fissata dal gip Pasquale D’Angelo nell’aula bunker dello stesso carcere.

Nell’inchiesta sulle violenze in carcere ai danni dei detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, potrebbe finirci il caso della morte del detenuto algerino con problemi psichici Lakimi Hamine, avvenuta un mese dopo quel terribile 5 aprile 2020.

La morte dell’uomo inizialmente era stata diciamo esclusa, o stralciata come si usa in questi casi, dal fascicolo sui pestaggi, considerata dal Gip Sergio Enea non direttamente legata alle violenze e ai soprusi, essendo la morte di Lakimi avvenuta un mese dopo la mattanza.

Ma la procura sammaritana ha presentato appello (l’associazione Antigone aveva sollevato il caso e il deputato Riccardo Magi aveva presentato una interrogazione alla ministra Cartabia) per omicidio colposo, chiedendo misure per 45 persone (15 in carcere, 30 ai domiciliari).

Ora spetta al Tribunale del Riesame di Napoli pronunciarsi, il 26 novembre prossimo. Mentre il 15 dicembre il Gup deciderà sul rinvio a giudizio chiesto per 108 indagati, tra agenti e funzionari.

Rischiano il carcere, tra gli altri, Pasquale Colucci, comandante del gruppo di Supporto agli interventi, Anna Rita Costanzo, commissario capo del reparto Nilo e l’ex comandante del carcere sammaritano Gaetano Manganelli.

Tra i 30 indagati per i quali i pm hanno invece chiesto i domiciliari c’è l’ex provveditore regionale alle carceri Antonio Fullone, che secondo la procura, contrariamente a quanto disposto dal Gip, sarebbe colpevole di maltrattamenti mediante omissione, ovvero di non aver impedito le violenze.

Leggi anche: La giornalista Zhang Zhan sta morendo in carcere: smascherò le menzogne sul Covid a Wuhan

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