In uno dei luoghi più carichi di suggestione della capitale, Via Giulia, giovedì 23 ottobre si inaugura una mostra che invita a rallentare, osservare, percepire. Si intitola “Quasi nulla – il tempo e il ritmo del colore, della leggerezza e della sottrazione. Per Tiberio o Timberio”, ed è il nuovo progetto espositivo dell’artista Giancarlino Benedetti Corcos, ospitato nella sua Galleria André.
Una mostra che è, già nel titolo, una dichiarazione poetica e concettuale: quasi nulla non è assenza, ma tensione verso un grado zero, verso quella sottrazione che diventa atto estetico ed etico. In mostra, i lavori di Corcos dialogano con una serie di 14 disegni a colori dell’architetto Lucio Altarelli – già professore ordinario alla Sapienza – dando vita a un doppio registro.
Giancarlino Benedetti Corcos, la tela grezza come sudario e partitura
Scrive Altarelli, in un testo acuto e poetico che accompagna la mostra:
Elemento ricorrente nelle opere di Giancarlino è quello che erroneamente può essere considerato come semplice fondale.
In realtà la tela grezza appesa alle pareti semplicemente senza cornice, come un vestito abbandonato, come un accogliente lenzuolo, come una pelle essiccata o come un partecipe sudario è il vero protagonista dei suoi racconti:
nel suo biancore esalta il distacco tra forme e figure, trasformando il loro intervallo in uno spartito musicale.
È un’arte della sospensione, quella di Benedetti Corcos, che sottrae peso per aggiungere senso. Nelle sue opere, il colore non è ornamento ma tempo: si dilata, pulsa, rallenta.
Lo stile una sfida ai linguaggi non convezionali

Lo stile di Giancarlino Benedetti Corcos è un ibrido visivo e concettuale che sfida i linguaggi convenzionali della pittura. Qui è come se le sue opere parlassero una lingua spezzata, frantumata e ricomposta, un po’ come avviene nel teatro di Carmelo Bene: la superficie diventa voce, la materia un’eco, e il colore strumento per destrutturare la narrazione visiva.
Al tempo stesso, Corcos lavora sull’intimità e sul trauma del segno, evocando la crudezza poetica e il dolore minimalista di una Sarah Kane del colore: le sue figure si disfano, si ricompongono, oscillano tra identità liquide e paesaggi interiori come voci provenienti dalla bocca di un imperatore immobile nel paradosso della sua onniscienza. Ogni tela è un atto performativo più che una composizione.
Altarelli e l’omaggio alla “Architecture presqu’à rien”
A confrontarsi con questa poetica è Lucio Altarelli, le cui 14 tavole (cm 30×30, montate su cornici 50×50 con passepartout) costituiscono un omaggio visivo e teorico alla cosiddetta “Architecture presqu’à rien”, concetto mutuato dalla Cabane rustique settecentesca di Marc-Antoine Laugier – archetipo essenziale dell’abitare, della costruzione, della genesi architettonica.
I suoi disegni – eseguiti con china e pennarelli Pantone su cartone Canson – mettono in scena una tensione tra costruzione e disgregazione, tra ritmo geometrico e apertura visionaria. È la stessa tensione che agita le utopie leggere del moderno: dal “Less is more” di Mies van der Rohe alle ruderizzazioni immaginarie di Hubert Robert, Joseph Gandy o alle sottrazioni fisiche di Gordon Matta-Clark.
In questa tensione, si coglie una volontà precisa: celebrare il vuoto, erodere i confini, immaginare lo spazio come permeabile. Un’operazione non nostalgica, ma radicalmente contemporanea.
Il colore come tempo, lo spazio come ritmo
In un breve testo di presentazione, è lo stesso Giancarlino a sottolineare la sintonia con l’architetto:
I suoi disegni, direi costruttivisti, entrano in relazione con i miei lavori sul ritmo dove il colore è sovrano e il tempo per un attimo rallenta attraverso una pennellata ritmica.
[…] La capanna di Laugier, archetipo della casa e dell’architettura che Lucio inserisce come origine di questi disegni, entra con lui nella difficile modernità.
E così, mentre Corcos lavora con il gesto pittorico che rende il colore spazio sensibile, Altarelli costruisce spazi geometrici come luoghi del pensiero, abitabili forse solo con lo sguardo. Entrambi, seppure con linguaggi diversi, sembrano rispondere al medesimo richiamo: quello di una leggerezza non superficiale, ma profondamente politica e radicalmente contemporanea.
Leggi anche: A Roma il primo Festival del Nonsense: “Contro lo svilimento delle creatività