Referendum sulla cittadinanza. Domenica 8 giugno, dalle 7 alle 23, e lunedì 9 giugno, dalle 7 alle 15, gli italiani elettori sono chiamati a votare per il referendum dai cinque quesiti abrogativi, di cui quattro riguardano il mondo del lavoro mentre il quinto fa riferimento alla cittadinanza italiana.
Nello specifico, per quest’ultimo si chiede di abrogare l’articolo 9, comma 1 legge 5 febbraio 1992 n. 91, solo nella parte relativa al tempo minimo di residenza in Italia, fissato a 10 anni.
Referendum sulla cittadinanza: se vince il sì cosa cambia nella normativa sulla cittadinanza

Se vincesse il sì, lo straniero che risiede legalmente in Italia da almeno cinque anni, senza interruzioni, potrà richiedere la cittadinanza italiana. Attualmente sarebbero 2,5 milioni di stranieri che potrebbero diventare cittadini italiani. Anche se, di fatto, il numero effettivo dei richiedenti sarà sicuramente inferiore. Molti di coloro che soggiornano in Italia nel lungo periodo sono minorenni, o non soddisfano i requisiti reddituali attuali per la cittadinanza, oppure sono cittadini di altri Paesi che non ammettono la doppia cittadinanza.
I promotori del referendum mirano a favorire l’inclusione nella comunità di persone che vivono, studiano e lavorano nel nostro Paese, e che vorrebbero sentirsi italiani “a tutti gli effetti”.
Con la vittoria del sì si tornerebbe al regime in vigore prima della legge del 1992, ma solo per il requisito di residenza, senza una modifica delle norme attuali.
Referendum sulla cittadinanza: cosa accade negli altri requisiti se vince il sì
Qualora vincesse il sì il primo quesito abrogato sarebbe il Jobs Act, introdotto dal governo Renzi. Si tornerebbe all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori ma con le modifiche introdotte con l’entrata in vigore della Legge Fornero, ossia la possibilità, in caso di licenziamento illegittimo, di reintrodurre il lavoratore in azienda, usufruendo anche di un indennizzo economico.
Attualmente nelle piccole imprese, in caso di di licenziamenti, l’indennizzo massima è di sei mensilità. Con il sì si abolirebbe il tetto massimo e il giudice avrebbe piena discrezionalità nel determinare l’ammontare del risarcimento. Un altro quesito mira a reintrodurre l’obbligo della causale nei contratti a termine, anche per quelli inferiori a 12 mesi, indicando il motivo del contratto breve.
L’ultimo quesito mira a estendere la responsabilità delle aziende committenti, in caso di infortuni e morti sul lavoro nei cantieri.
Leggi anche: Referendum 8-9 giugno: come si vota e i 5 quesiti su lavoro e cittadinanza