domenica, 25 Maggio 2025
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Come deve essere un vero leader: Prevost lo spiegò nella sua tesi di dottorato

Nella sua tesi di dottorato, Papa Prevost rifletteva già su un modello di leadership autentico, basato su umiltà, consapevolezza di sé e fiducia nella grazia.

Melissa Matiddi
Melissa Matiddi
Esperta in comunicazione e digital marketing, studia lo yoga e le discipline orientali. Ama creare, leggere e viaggiare. Silenziosa ma rumorosa, è sempre pronta a varcare nuovi orizzonti.

Che cosa rende un leader davvero credibile? Non il carisma, non l’autorità imposta dall’alto, ma la capacità di riconoscere con onestà i propri limiti, il vivere i valori che si annunciano e l’affidarsi a qualcosa di più grande di sé.

Nella sua tesi di dottorato, Robert Prevost, oggi Papa XIV, delineava una visione di leadership radicalmente diversa rispetto a quella che abbiamo nel mondo moderno: profonda, spirituale e più che mai attuale. Un modello che nasce non dalla perfezione, ma dall’umiltà e dalla grazia.

Le qualità di un vero leader: la visione di Papa Prevost contenuta nella sua tesi di dottorato

Il titolo della tesi con cui nel 1987 padre Bob conseguì il dottorato Magna cum laude in Diritto canonico presso la Pontificia università San Tommaso d’Aquino di Roma fu “Il ruolo e l’autorità del priore locale nell’Ordine di Sant’Agostino“.

Questo titolo che si aggiunge agli altri precedentemente conseguiti, il Bachelor of Science in scienze matematiche, il diploma in filosofia presso la Villanova University di Filadelfia e il Master of Divinity presso la Catholic Theological Union di Chicago, mostra come Leone XIV fosse molto istruito nel panorama ecclesiastico.

Prevost scrisse la sua tesi in un momento cruciale per la Chiesa: erano passati quattro anni dalla riforma del diritto canonico, punto di arrivo di un lungo processo avviato dal Concilio Vaticano II oltre due decenni prima. Un periodo di transizione, ma anche di rinnovata energia.

Nel suo lavoro accademico, Prevost si è concentrato sul governo degli ordini religiosi: dai ritiri spirituali alla formazione nei seminari, fino alla durata dei mandati di chi è chiamato a guidare. Ma, come ha sottolineato il New York Times in un’analisi approfondita, “contiene anche suggerimenti su come guidare una Chiesa globale nella prossima fase della sua lunga storia“.

Non solo ha offerto spunti su come guidare la chiesa, ma le sue riflessioni sul ruolo di chi guida parlano anche al di fuori dei confini ecclesiastici. Sono considerazioni che toccano chiunque eserciti responsabilità, in qualsiasi contesto. Ecco perché vale la pena sintetizzare i tre punti cardine della sua visione: l’autorità, l’ascolto e la collegialità.

Leggi anche: Riaperto da Papa Leone XIV lo storico appartamento papale: era vuoto da 12 anni

Autorità, ascolto e collegialità per una leadership che trasforma

Nella visione di Prevost, guidare non significa imporre, ma servire. La vera leadership nasce dall’equilibrio tra autorevolezza e capacità di ascolto, tra responsabilità personale e discernimento condiviso. È da questa tensione creativa che può nascere una guida capace non solo di amministrare, ma di trasformare davvero le persone e le comunità.

1. L’autorità

La virtù dell’umiltà è indispensabile per ogni superiore.

Senza, l’uomo scelto per esercitare la sua leadership nella comunità non sarà mai in grado di ottenere la confidenza e la fiducia di coloro che sono affidati alla sua cura.

Il superiore non deve essere un santo.

Deve, tuttavia, essere abbastanza onesto da riconoscere e ammettere i propri punti di forza e di debolezza, e da questa base, affidandosi alla grazia di Dio, deve cercare di vivere i valori che sono propri della vita religiosa.

Queste parole delineano in modo chiaro il punto di vista di Prevost: l’autorità autentica nasce dall’umiltà, non dal controllo e si esercita con trasparenza, consapevolezza e grazia. È una visione che riprende esplicitamente il pensiero di sant’Agostino e le sue riflessioni sul rischio che l’autorità degeneri in abuso, se non sostenuta da limiti chiari e da un costante riferimento al bene comune.

È anche in questa prospettiva che si inserisce la sua lettura delle tensioni post-conciliari e dei cambiamenti sociali che bussano alle porte degli ordini religiosi: “La società è davvero cambiata e molti nuovi valori sono stati proclamati, non sempre, tuttavia, tali da essere integrati facilmente nella vita religiosa. Spesso, la relazione tra bene individuale e comune è diventata l’opposto di ciò che era prima. Anziché modellare la personalità individuale al servizio del bene comune (una nozione che ha avuto le sue stesse esagerazioni in passato), la “comunità” diventa il contesto in cui l’individuo può realizzarsi, cercando il proprio interesse e i propri valori personali”.

Da qui nasce un principio decisivo: il superiore non è chiamato a reprimere l’individualità, ma a comprenderla ed orientarla, distinguendo tra legittime aspirazioni e le derive egoistiche. Solo chi sa leggere con lucidità il presente può governarlo con giustizia. E, secondo Prevost, questo è possibile solo con uno strumento preciso ed imprescindibile.

2. L’ascolto

Il Priore è chiamato ad ascoltare in modo che insieme si possa discernere e realizzare ciò che lo Spirito ispira.

Questa teologia dell’ascolto fornisce una base sulla quale l’autorità del Capitolo può essere compresa.

In queste parole risuona un principio centrale del pensiero agostiniano: l’ascolto come atto spirituale e relazionale che connette l’uomo a Dio e le persone tra loro. All’interno di una comunità religiosa, questo significa che chi ha responsabilità non si pone al di sopra, ma si fa ponte tra le voci dei fratelli e la volontà di Dio, favorendo un criterio condiviso.

È un modello di leadership che si fonda sulla fiducia, sulla corresponsabilità e su una visione comunitaria del potere. Ed è proprio da qui che si apre il terzo principio chiave della visione di Prevost: la collegialità.

3. La collegialità

Uno degli aspetti più importanti della vita religiosa è la comunione, l’unità, condivisa dai membri come mezzo per la ricerca di Dio.

La realtà umana, tuttavia, può rendere questo compito piuttosto difficile, e a volte si rende necessario l’intervento del superiore per affrontare queste difficoltà.

Alla fine deve anche esserci un individuo che esercita l’autorità di prendere decisioni e guida la vita del religioso.

In queste righe, scritte quasi quarant’anni fa, emerge con forza una visione della leadership profondamente umana e relazionale: la comunione non è data per scontata, ma va coltivata giorno dopo giorno, con cura, fiducia e presenza personale. È il superiore, figura di riferimento nella vita comunitaria, a dover costruire relazioni autentiche, capaci di affrontare i conflitti senza evitarli, ma anche senza imporre.

Questa tensione tra ascolto e decisione, condivisione e responsabilità ultima, è il cuore della collegialità. Un principio che torna centrale nel dibattito sulla transizione tra papa Francesco e Leone XIV. Infatti, se da un lato c’è chi ha letto nel pontificato bergogliano una certa spinta individuale, soprattutto nel rapporto con la Curia, dall’altro la vocazione sinodale della Chiesa è diventata un segno distintivo degli ultimi anni.

Prevost sembra però perfettamente in sintonia con questa eredità, ma con una chiave tutta sua: la convinzione che la fiducia si costruisca nella prossimità, che l’autorità si rafforzi con l’ascolto e che guidare significhi, sì, includere, ma anche decidere. Una leadership che potrebbe far avanzare il cammino sinodale con uno stile ancora più personale, saldo e forse più chiaramente strutturato.

Leggi anche: Papa Prevost da giovane: “Forse è meglio lasciare questa vita, voglio dei figli”

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Melissa Matiddi
Melissa Matiddi
Esperta in comunicazione e digital marketing, studia lo yoga e le discipline orientali. Ama creare, leggere e viaggiare. Silenziosa ma rumorosa, è sempre pronta a varcare nuovi orizzonti.

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