E se fosse la musica a salvarci dal cambiamento climatico?

Lo abbiamo chiesto a Dario Giardi, ricercatore nel campo dell’energia e dell’ambiente. L'intervista in cui ci spiega l'ecologia acustica.

Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.
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Riprendere il contatto con la natura attraverso l’ascolto, rieducandoci ad esso. È forse l’atto di empatia più potente. Oggi parliamo di ecologia acustica, un approccio che promette di farci riappropriare di un legame più intimo con il pianeta.

La pandemia ci aveva in questo senso sorpresi, col suo effetto collaterale positivo: silenziare i rumori delle città e regalandoci l’ascolto di una musica che avevamo dimenticato, come il cinguettio dei passerotti. Sta lì quella musica, a ricordarci che possiamo ancora connetterci con la natura.

Ne parliamo con Dario Giardi, ricercatore esperto in energia, ambiente e sostenibilità, oggi Responsabile sostenibilità ed economia circolare – Confagricoltura, con oltre vent’anni di esperienza e un dottorato in geopolitica dell’energia, e musicista sotto l’alias Giadar, specializzato in musica ambient ed elettronica. Andremo a esplorare il focus principale del suo saggio, edito da Mimesis, E se fosse la musica a salvarci – La memoria dei suoni e la sfida climatica.

L’intervista a Dario Giardi sull’importanza dell’ecologia acustica

ecologia acustica

1. Cos’è l’ecologia acustica? Ci racconti di questo particolare legame tra la questione ambientale e il potere evocativo della musica. Come nasce il tuo saggio?

L’ecologia acustica – questo affascinante punto d’incontro tra ambiente e suono – mi ha fatto intuire che forse, attraverso l’ascolto, possiamo riscoprire il nostro legame con il pianeta. La musica, in fondo, è un linguaggio emotivo potentissimo. E se fosse proprio lei ad aiutarci a cambiare rotta?

Tutto è partito da una domanda semplice, ma potente: cosa succederebbe se imparassimo davvero ad ascoltare? Non solo la musica, ma anche i suoni del mondo che ci circonda. Viviamo immersi in rumori, eppure sempre più lontani dal suono della natura.

2. I suoni hanno una memoria e con ognuno di essi abbiamo un legame emotivo. Nel tuo saggio parli appunto di “memoryscape”. Ci spieghi questo termine?

Il memoryscape è la memoria dei suoni che ci portiamo dentro. Quei suoni che, anche a distanza di anni, ci fanno vibrare: il vento tra gli alberi, la risata di un bambino, il canto di un usignolo all’alba. Sono legami emotivi, memorie sensoriali che ci ancorano a un luogo, a un tempo, a una parte di noi.

Natura e suono sono intimamente connessi: ascoltando la natura, ci riconnettiamo non solo a ciò che ci circonda, ma anche a ciò che siamo.
Ho realizzato, con il mio alias artistico Giadar, un album di musica ambient e field recording titolato proprio “Memoryscape”.

3. Non solo parole, servono azioni contro il cambiamento climatico. Da dove partire?

Bisogna partire dal coinvolgimento emotivo. I dati scientifici sono cruciali, ma non ci cambiano dentro. Serve un racconto che tocchi il cuore, che ci faccia sentire parte in causa.

Quando ascolti il battito sonoro di una foresta o il silenzio che resta dopo un ghiacciaio scomparso, non puoi più voltarti dall’altra parte. Il suono può diventare un detonatore di consapevolezza. Un modo per trasformare l’indifferenza in azione.

4. Perché abbiamo smesso di ascoltare la natura e perché dovremmo tornare a farlo?

Perché siamo immersi nel rumore, ma disconnessi dall’ascolto vero. Viviamo a un ritmo frenetico, pieni di notifiche e distrazioni. E così ci siamo allontanati da ciò che è essenziale, compresa la natura. Ma ascoltare la natura non è un lusso: è un bisogno umano profondo. Recuperare quel legame ci fa stare meglio, ci rende più presenti, più attenti, più vivi.

5. È vero che la pandemia ci ha risintonizzato con i bisogni primari e, di riflesso, la natura? Con una maggiore attenzione verso la bellezza dei suoni?

Decisamente sì. Durante i lockdown, il mondo si è fermato… e i suoni della natura sono tornati a farsi sentire. Molti hanno scoperto per la prima volta il canto degli uccelli sotto casa, il rumore del vento tra i palazzi, il silenzio. È stato un momento raro, quasi magico seppur tragico nella motivazione che lo ha generato. Un risveglio collettivo del senso dell’udito. Un promemoria prezioso: la natura ha sempre qualcosa da dirci, se solo ci fermiamo ad ascoltare.

6. Come possiamo riappropriarci del nostro senso di appartenenza alla natura?

Iniziando proprio dall’ascolto. Camminando in silenzio in un bosco, chiudendo gli occhi e lasciandoci attraversare dai suoni. Ma anche attraverso l’arte, la musica, l’educazione. Serve una nuova cultura dell’ascolto, che non sia solo tecnica ma anche empatia, connessione, immaginazione. Riscoprire la nostra appartenenza alla Terra non è solo urgente: è una delle cose più belle che possiamo fare per noi e per le future generazioni.

Leggi qui: Silvia Moroni: “Vivere green significa cambiare le abitudini ed è anche divertente”


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Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.
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