Processo all’università: “Siamo tutti parenti. I nostri concorsi sono truccati”

Il processo all’università pare interessare diverse città, e può essere considerato un vero e proprio modus operandi degli atenei italiani.

Michela Sacchetti
Michela Sacchetti
Intuitiva, con un occhio attento alla realtà e alla sua evoluzione, attraverso una lente di irrinunciabile positività. Vede sempre nella difficoltà un’occasione preziosa per migliorarsi da cogliere con entusiasmo.
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Processo all’università. Da inchieste avviate nelle procure di mezza Italia emergerebbe come l’università italiana non sia basata su titoli e competenze ma bensì su relazioni di potere e sul mercanteggiare di cattedre.

In tre anni di inchieste da Nord a Sud sono 191 i docenti indagati per concorsi pilotati nelle università, che in Italia viene definito da tempo come “sistema dei baroni”. Agli atti ci sarebbero frasi pronunciate da docenti, rettori e direttori di dipartimento del tipo:

Siamo tutti parenti. I nostri concorsi sono truccati.

Non si possono prima fare i bandi e poi cercare i vincitori, bisogna fare il contrario.

E ancora nei confronti dei rivali “un po’ di mobbing, così dimenticano i concorsi”.

Processo all’università: “Ci sono sempre le stesse famiglie”

processo all'università

Processo all’università. Quella che negli atenei italiani si giunge ad insegnare a motivo di rapporti familiari o amicali sembrava quasi una leggenda metropolitana ma si sta rivelando tutt’altro che falsa. Già due anni e mezzo fa l’ex rettore di Catania Francesco Basile, era finito sotto inchiesta, e dalle intercettazioni dell’epoca si evince chiaramente quale fosse il suo pensiero:

Perché poi alla fine qui siamo tutti parenti.

Alla fine l’università nasce su una base cittadina abbastanza ristretta, una specie di élite culturale della città, perché fino adesso sono sempre quelle le famiglie.

Sembrerebbe che si tratti di un atteggiamento condiviso nei vari atenei italiani, non riconducibile a una sola e specifica realtà. Come per esempio a Reggio Calabria dove non c’era decisione importante che veniva presa senza il consenso del rettore, Pasquale Catanoso prima e Marco Zimbone dopo.

Processo all’università: “Stavolta tocca a me, la prossima volta a lui”

I docenti nelle conversazioni intercettate parlano in modo schietto non lasciando spazi a dubbi, come quando il professore Gaspare Gullotta, direttore del dipartimento di Chirurgia generale di Palermo, parlando del suo rivale Mario Adelfio Latteri dice:

Stavolta tocca a me e la prossima volta tocca a lui.

Gli ho fatto un associato dieci giorni fa e gliel’ho fatto col solito sistema.

Per poi concludere, a scanso di equivoci:

È bene che facciamo il regolamento di ateneo perché effettivamente anche i nostri concorsi sono truccati.

Addirittura nell’inchiesta di Giurisprudenza su Genova il professore emerito Pasquale Costanzo arrivava a dire alla prorettrice Lara Trucco:

Non si possono fare i bandi e poi cercare i vincitori, bisogna fare il contrario.

Si presentano persone senza farmelo sapere. Vi rendete conto? Un po’ di galateo accademico.

Processo all’università: spartizioni e pressioni

Quello delle cattedre all’università diventa addirittura metafora di un banchetto, come a Genova con il prof Costanzo, il quale rivolgendosi al collega Daniele Granara, che doveva scegliere fra cattedra in Diritto costituzionale e Diritto pubblico comparato, gli dice:

È solo una tua preferenza soggettiva… se vuoi il bignè o la torta o il cannolo.

E non mancano pressioni, mobbing e maschilismo, nei confronti di una “femmina dal curriculum” pesante dell’Università di Firenze, da parte di un collega che si auspicava le facessero un po’ di mobbing affinché si dimenticasse dei concorsi.

Leggi anche: Musk lancia piattaforma di bitcoin per aiutare le famiglie: ma si tratta di una truffa

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