25 anni senza Fabrizio De André: quali canzoni iconiche raccontano il mondo attuale?

25 anni senza Fabrizio De André, ma le sue parole risuonano vibranti: 3 brani iconici che raccontano il mondo di oggi. Cosa scriverebbe un Faber del nuovo millennio?

Ilaria De Santis
Ilaria De Santis
Classe 1998. Esperta in Editoria e scrittura, è molto attenta ai dettagli, scrive poesie e canzoni ed è appassionata di musica, serie TV e sceneggiatura. “In tristitia hilaris, in hilaritate tristis”.
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25 anni senza Fabrizio De André, il cantautore dei ribelli e degli emarginati. Grazie ai suoi stilemi linguistici, a un parlato ricercatissimo, con frasi che sono rimaste nell’immaginario di intere generazioni, ha forgiato da subito un proprio modo per scrivere una canzone.

Poesia nella musica, o musica nella poesia? Fabrizio De André ci conduce su quella Via del Campo, facendoci stringere la mano a personaggi come Bocca di Rosa, Marinella, Michè, Teresa, Andrea, Il bombarolo, Il pescatore, Il suonatore Jones, Geordie, Carlo Martello, solo per citarne alcuni.

E cosa scriverebbe Faber al giorno d’oggi, cosa penserebbe delle guerre che imperversano? E ancora, che strofe comporrebbe sull’amore, di quello vissuto nell’era dei social, dei messaggi e delle videochiamate? Infine, che cosa direbbe nel mondo odierno in cui si lotta con tutte le forze contro la violenza e i femminicidi? Fabrizio De André, grazie alle sue note sempre rivoluzionarie, rimane un punto di riferimento ancora oggi.

Il linguaggio di Fabrizio De André, il canzoniere che racconta la realtà

Fabrizio De André è stato un cantautore moderno rifacendosi, però, al passato, alla Storia, ai racconti medievali, alla canzone popolare. Ha saputo mischiare la cultura alta a quella bassa, ci ha raccontato l’amore con la sua sensibilità dal suo punto di vista, traendo spunto dalla materia viva della realtà.

Faber ci ha insegnato a osservare, a interrogarci sul senso della vita e della verità, a cogliere cosa si nasconde dietro l’animo umano. E nella sua genialità creativa, ci ha mostrato la libertà della poesia musicale.

Nel suo canzoniere, che si compone di oltre 40 album per quasi 40 anni di carriera, Fabrizio De André ci ha narrato il mondo degli ultimi con estrema delicatezza, invitandoci alla comprensione e trasmettendoci la loro abitudine al dolore, alla sofferenza, alla paura, a quel costante sentimento di sentirsi sempre dall’altra parte della vita.

Quali sono le 3 canzoni di Fabrizio De André simbolo del mondo attuale?

Attraverso le parole, Faber ha sempre cercato di raccontare il mondo attuale e la società che lo abitava. E sono molti i brani che rispecchiano proprio adesso la nostra, di realtà, quella del 2024, e la redazione de “ildigitale.it” ne ha scelte tre come chiavi di lettura sociologiche evergreen.

1. La guerra di Piero, metafora intramontabile di chi si ritrova con le armi in mano

“La guerra di Piero” è una ballata pubblicata nel 1966, un testo che denuncia le atrocità dei conflitti. Protagonista del brano è il soldato Piero che cammina in solitudine e triste durante l’inverno. Sta combattendo una guerra e, nonostante le crudeltà, preserva ancora il lato umano che lo distoglie dal pensiero di sparare contro un soldato nemico. Ma quell’uomo “non ti ricambia la cortesia” e Piero giacerà “Sepolto in un campo di grano, Non è la rosa, non è il tulipano, Che ti fan veglia dall’ombra dei fossi, Ma sono mille papaveri rossi”.

Ascoltando questa canzone non si può non pensare al conflitto russo-ucraino iniziato nel febbraio del 2022 e a quello tra Hamas e Israele, in corso dallo scorso ottobre. La condizione di Piero e del soldato avverso è metafora intramontabile di chi, nonostante l’avanzare del nuovo millennio, si ritrova inesorabilmente a imbracciare un’arma, implorando una tregua che tarderà ad arrivare.

2. Amore che vieni, amore che vai: quanto sono fragili le relazioni?

“Amore che vieni, amore che vai” è un altro brano del 1966, che si concentra, nei suoi indelebili versi, sulla caducità di questo sentimento, che a volte può rivelarsi fragile.

Siamo noi a cambiare, come i nostri sentimenti, che mutano ed evolvono, in un’eterna contrapposizione che dapprima ci “fa chiedere un bacio e volerne altri cento”, per poi inseguire un “amore che fuggi”, ma “da me ritornerai”.

L’amore cambia col passare del tempo, i ricordi fuggono via come le parole che “fra un mese fra un anno scordate le avrai”. E Fabrizio De André insinua nella mente il dubbio: “Io t’ho amato sempre, non t’ho amato mai, Amore che vieni, amore che vai”.

Ma perché questo brano rispecchia la precarietà del nostro tempo? Faber ci fa riflettere sulla volubilità delle relazioni che, al giorno d’oggi, è amplificata dal mondo frenetico sui social. Il nostro modo di parlare d’amore è cambiato, attraverso messaggi, storie e post su Instagram. I bei momenti, come recita la canzone, spariscono, ma rimangono le foto nell’archivio che ci fanno ripercorrere quell’amore vissuto. Abbiamo amato davvero? Siamo forse stanchi del fast food dei sentimenti che l’era digitale ha amplificato?

3. Ho visto Nina volare, il patriarcato eclissa il femminile

“Ho visto Nina volare” è un brano del 1996 in cui Faber ricorda un’amica d’infanzia, Nina Manfieri. La piccola vola sull’altalena delle campagne astigiane, spensierata, abbracciando la libertà del divertimento. Ma a un certo punto, nella canzone, incombe una figura oscura: “Stanotte è venuta l’ombra, L’ombra che mi fa il verso”.

Nina vive quei momenti di giochi, sapendo che deve tornare a casa. Ad aspettarla c’è il padre, quel padre padrone, simbolo di prevaricazione: “E se lo sa mio padre, Mi metterò in cammino, Se mio padre lo sa, M’imbarcherò lontano”.

Ancora una volta, De André è profetico. La figura dell’ombra è l’emblema del patriarcato e di tutta quella cultura che si trascina dietro. Quella cultura, che dopo anni e anni di lotte, impedisce alle donne di esprimersi, nel nome della libertà e dei diritti.

25 anni senza Fabrizio De André, ma le sue parole non smettono mai di incantarci, scavando nei significati più sottili e controcorrente. Volendo fare un bilancio di questo quarto di secolo d’assenza, l’eredità che ci viene lasciata e che dobbiamo custodire come arma per dissentire e restare liberi, come strumento per pensare criticamente e volendo o se necessario “in direzione ostinata e contraria”, è la possibilità di uscire fuori dal convenzionale e la volontà di vedere il bene nel male: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.

Leggi anche: Qual è il significato di Quando di Pino Daniele, la canzone preferita di Massimo Troisi?

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