Chi sono le vittime di Cutro: volti e storie di chi non ce l’ha fatta

Non sono numeri ma persone che non ce l'hanno fatta, la loro vita è stata spezzata dal mare. Vediamo chi sono e quali erano i loro progetti in cerca di un diritto inviolabile: il diritto al futuro.

Michela Sacchetti
Michela Sacchetti
Intuitiva, con un occhio attento alla realtà e alla sua evoluzione, attraverso una lente di irrinunciabile positività. Vede sempre nella difficoltà un’occasione preziosa per migliorarsi da cogliere con entusiasmo.
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Vittime di Cutro. Dietro il numero delle vittime del peschereccio naufragato sulle coste di Cutro, avvenuto all’alba del 26 febbraio, si celano nomi, età, storie di persone che erano alla ricerca di una vita migliore e della libertà, ma non ce l’hanno fatta. La vita gli è stata brutalmente strappata, non dal triste destino, ma da questioni ormai di vecchia data relative all’immigrazione che il Governo sta cercando di legittimare, tra le accuse di omissione di soccorso. Anche se i diversi quotidiani locali come il Crotonese, il Quotidiano del Sud, Cn24tv.it, già dagli Anni ’90 riportano storie di naufragi sulle coste calabresi pubblicando vicende simili, negli alternati Governi di destra e di sinistra.

I corpi recuperati finora sono 72, sono corpi di persone di cui 29 hanno meno di 18 anni. Attaccate all’inferriata del Palazzetto dello Sport a Crotone tante le fotografie delle vittime, chieste ai familiari provenienti da Austria, Germania, Olanda, Stati Uniti e alcune città italiane, come Taranto e Verona. Si tratta di vite che non potranno realizzarsi, spezzate per sempre e con esse tutti i loro sogni, anche quelli tarpati che non hanno fatto in tempo a fiorire: tra le vittime c’è chi non raggiunge il promo anno età.

Vittime di Cutro: alcune storie delle vite spezzate dal naufragio

Le vittime di Cutro sono partite il 22 febbraio da Smirne, in Turchia. Spesso il viaggio inizia prima, tante volte a piedi, partendo da Kabul e da Herat, in Afghanistan. Tra i tanti volti ci sono quelli della giornalista Topekai e dell’attivista per i diritti delle donne afghane, Abiden. Quale contributo avrebbero potuto dare al mondo e in particolare al loro Paese? Certo ci saranno altri a prendere il loro posto, o forse no, ma l’unicità che avrebbero potuto donare è una perdita.

Delle 72 vittime la maggior parte ha ricevuto un nome e un cognome mentre 9 non sono state ancora identificate. Tanti i ragazzini, come Afan Afridi, 15enne di nazionalità pakistana, partito da solo, e Farhas Afghanzadeh, 16enne afgano che ha voluto seguire a tutti i costi la sorella Mina. Il più piccolo è Hassis Tailmoori, di 2 anni, morto insieme ai genitori Mina, Zaboullah e al fratello Hakef di 6 anni.

Poi c’è chi è partito per raggiungere i propri cari, come Siwar Zrebi, 23 anni. La giovane doveva raggiungere il marito, un siriano che si trova in Germania, e poco prima del naufragio gli aveva telefonato dicendogli di vedere la costa, e di amarlo tanto. Tante le giovani donne partite dalla Turchia, molte delle quali afgane, come Gulsom Quraish mamma di due sorelline, Roqia di due anni, e Zhara di quattro. Tra le vittime di Cutro anche una sportiva: Shahida Gulam Raza, pakistana di etnia hazara.

Vittime di Cutro: i sopravvissuti alla tragedia

Oltre alle vittime ci sono 81 sopravvissuti. Il loro stato d’animo è però doppiamente provato, da una parte c’è il trauma del naufragio dall’altra quello di aver visto morire tante altre persone, poi riversate dulla spiaggia di Steccato di Cutro. L’operatrice che li ha accolti, intervistata dal quotidiano Vita, ha raccontato:

Quando sono arrivati erano sconvolti. Non parlavano, volevano solo sistemarsi il letto, ritrovare una sorta di stabilità. Li guardo e mi sento impotente, arrabbiata. Anche con me stessa.

Tutto poteva essere evitato, tutte queste morti potevano essere evitate. Perché prima di tutto le persone si salvano in mare, poi si pensa agli scafisti e al perché delle cose.

Salvare vite umane viene prima e sono così arrabbiata perché solo ora che guardo i sopravvissuti, che ho le bare delle vittime davanti agli occhi, penso che non ho, che non abbiamo, urlato abbastanza.

Abbiamo accettato i cambiamenti della legge, dai decreti sicurezza fino a quelli delle ultime settimane contro le Ong. Dovevamo gridare di più, farci sentire di più.

Leggi anche: Decreto migranti: cosa cambia su pene, rinnovo dei permessi e rimpatri

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