Mente sugli esami e si uccide a 25 anni: quanti disastri farà ancora la pressione sociale?

Antonio C., studente di Lettere di 25 anni della Federico II, si è ucciso dopo aver mentito a tutti sugli esami sostenuti: non è un caso isolato. Quanti disastri farà ancora la pressione sociale?

Asia Buconi
Asia Buconi
Classe 1998, romana. Laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali, ama l’attualità e la letteratura, ma la sua passione più grande è la sociologia, soprattutto se applicata a tematiche attuali. Nel tempo libero divora film e serie tv.
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Studente si uccide a 25 anni: non è un caso isolato. Quanto accaduto il 18 luglio scorso è il ripetersi di una tragedia già vista: prima le bugie sugli esami, poi il suicidio in università. É successo all’interno della facoltà di Lettere dell’Università Federico II di Napoli: Antonio C., studente di 25 anni, si è lasciato cadere dai piani alti dell’edificio nel cortile intorno alle 11 di mattina. Un ragazzo tranquillo, di buona famiglia, come spesso si sente dire dopo tragedie di questo tipo.

La verità, amara, è che affrontare la realtà universitaria per molti giovani ragazzi può essere fatale: esami che rimangono indietro, la disgraziata tentazione di paragonare il proprio percorso a quello degli altri, le aspettative della famiglia, la pressione sociale a ricordarti che senza “il foglio di carta” sarà impossibile trovare lavoro e quella voce interiore che ordina di fare in fretta, altrimenti poi si rischia di diventare troppo “vecchi” e di non essere assunti da nessuno. E così il piacere dello studio si annulla, la pressione sociale divora la voglia di vivere di ragazzi insospettabili, che già così giovani si etichettano come falliti, di un fallimento irrecuperabile. E i più fragili arrivano in questo modo a una tragica ed errata consapevolezza: questa vita non merita più di essere vissuta.

Studente si uccide a 25 anni: le bugie su un percorso universitario mai compiuto

Studente si uccide a 25 anni: le bugie su un percorso universitario mai compiuto

Antonio C. si è ucciso il 18 luglio in Via Porta di Massa, all’interno della Facoltà di Lettere dell’Università Federico II a Napoli. La dinamica è stata ricostruita dai militari dell’Arma dei Carabinieri ed è stata riportata su Il Mattino: il giovane si sarebbe lanciato dai piani alti e sarebbe morto sul colpo. La salma, poi, è stata subito disposta all’autopsia di rito. “Alla base della decisione di farla finita ci sono i fallimenti universitari” hanno raccontato alcuni colleghi dell’università. Il giorno prima del tragico gesto Antonio aveva raccontato alla famiglia che sarebbe andato a discutere la sua tesi di laurea, ma erano solo fantasie: l’ultima di una serie di bugie alla famiglia su un percorso universitario mai compiuto.

Il 25enne da anni riportava ai familiari informazioni false: gli esami che aveva sostenuto, in realtà, erano pochi, “meno di una decina”. E adesso, che era arrivato il momento delle lauree alla facoltà di Lettere, Antonio si era ritrovato senza via d’uscita: troppo angosciante l’idea di dover raccontare ai propri cari la verità. Troppo straziante l’idea di deluderli. Da qui, la decisione di farla finita.

Studente si uccide a 25 anni: pressione sociale e il fenomeno delle “bugie accademiche”

Studente si uccide a 25 anni: pressione sociale e il fenomeno delle "bugie accademiche"

Certamente il suicidio è il gesto più estremo e plateale che un essere umano possa compiere. Molti potrebbero ritenerla una scelta ingiustificabile, specie se compiuta per motivi legati all’università: si tratta solo di esami, niente di che. In realtà, il gesto di Antonio, per quanto estremo e disperato, si unisce a una tendenza molto più diffusa di quanto si creda: quella delle cosiddette “bugie accademiche”. Quanto contano le aspettative di parenti, amici e conoscenti per la propria felicità? In breve, quanto pesa la pressione sociale sulla serenità degli studenti? Come un macigno, verrebbe da dire.

Più di 1 ragazzo su 3 (il 35%) ha ammesso di aver mentito almeno una volta sull’andamento del proprio percorso universitario: il 18% lo ha fatto più di una volta, il 17% adotta questo metodo sistematicamente. Cosa si omette? Il 24% dei “bugiardi” gonfia di qualche punto il voto degli esami, mentre il 18% sorvola sul numero reale di quelli sostenuti. Il 16% mente sull’effettiva frequenza delle lezioni, il 12% non racconta ai genitori delle bocciature e il 7% fa intendere che la laurea sia più vicina del previsto. Circa 7 studenti su 10 tentano la strada delle bugie accademiche sperando di non essere mai scoperti. Ma, spesso, non è così: cosa accadrebbe se questa serie di bugie venisse fuori?

Il 23% degli studenti sarebbe semplicemente dispiaciuto, il 15% umiliato e un altro 15% spaventato dalle conseguenze. Solo il 31% raccoterebbe i fatti con tranquillità, provando a metterci una pietra sopra e a chiedere scusa per aver mentito. Il 16% dei ragazzi, invece, una volta scoperto sprofonderebbe nella disperazione. E Antonio era uno di loro, un ragazzo che quella disperazione, probabilmente, non avrebbe mai voluto viverla. Perché si mente? La risposta è semplice: per la stritolante pressione sociale a cui ogni giorno si è sottoposti.

Il 28% degli studenti mente per non deludere i genitori, un altro 28% affronta le cose con più leggerezza, mentre il 13% si vergogna terribilmente per non essere riuscito negli studi accademici. Uno studente su 10 ha persino paura della reazione di chi ha immaginato grandi cose per lui, caricandolo di aspettative, che però sono state puntualmente deluse. Il risultato? Solo il 55% dei genitori ha davvero chiaro a che punto sia il figlio o la figlia con il proprio percorso di studi all’università: il 18% ne è completamente all’oscuro. Poi, c’è la percentuale più preoccupante: quella del 13% di ragazzi che costruisce una rete di bugie talmente grande e duratura da non poter più tornare indietro. E Antonio Cerreto non ne è il primo tragico esempio.

Studente si uccide a 25 anni, non è un caso isolato: nel 2018 il suicidio di Giada

Giada era un studentessa universitaria di 26 anni, che il 9 aprile 2018 si è uccisa lanciandosi dal tetto di Monte Sant’Angelo, uno degli edifici del complesso universitario della Federico II di Napoli, la stessa università in cui studiava anche Antonio. La giovane frequentava però la Facoltà di Scienze Naturali. La storia è molto simile a quella di Antonio: prima i falsi racconti sugli esami sostenuti, poi la bugia finale, quella sulla tesi di laurea mai esistita. La giovane era salita sul tetto dell’edificio proprio il giorno in cui aveva detto di doversi laureare: aveva invitato tutta la famiglia, organizzato la festa nei minimi dettagli.

Poi, quando era arrivato il momento di discutere la tesi, Giada ha lasciato il corridoio universitario affollato di laureandi ed è andata incontro al suo triste destino, gettandosi nel vuoto. “Era una ragazza solare” si raccontava anche di Giada, e come lei di molti altri studenti che mentono. Probabilmente lo era, prima di conoscere i disastri a cui la pressione sociale può portare. Prima di dover guardare ai genitori come i principali fautori di quella pressione. Prima di perdere completamente la voglia di vivere un’esistenza vista come troppo esigente, pesante, difficile. Inaffrontabile.

E lo studio non dovrebbe mai essere questo. Dovrebbe rappresentare un’occasione di crescita, di formazione, un percorso personale che ognuno affronta a suo modo e con i propri tempi. Non certo un mezzo per soddisfare le aspettative di tutti. Sicuramente non un motivo per uccidersi. Di quanti altri Antonio e Giada dovremo sentire parlare?

Leggi anche: Suicidi tra studenti universitari: perché lo studio può diventare un inferno

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