Gilda Moratti, classe 1975, non è soltanto la figlia dell’ex sindaca di Milano Letizia Moratti. È scrittrice, attivista, documentarista e madre di tre figli.
Nel 2019, però, la sua esistenza ha subito una svolta drammatica: la diagnosi di un tumore al quarto stadio, partito dal polmone e arrivato fino al cervello, con metastasi ossee.
Un verdetto che per molti equivarrebbe a una condanna. Eppure Gilda ha deciso di reagire, scegliendo di trasformare la sua esperienza in un’occasione di racconto e di condivisione.
Ne è nato Terra, il suo primo romanzo, una storia profondamente autobiografica che riflette la lotta, il dolore, ma anche la ricerca di senso e di speranza.
La malattia raccontata senza filtri
Nell’intervista rilasciata a Michela Proietti per il Corriere della Sera – ripubblicata di recente – Moratti non nasconde nulla. Racconta dei ricoveri a Londra, delle sofferenze fisiche, delle difficoltà nel comprendere un linguaggio medico spesso spaventoso. Descrive “branchi di dottori” che entravano nella sua stanza, portando notizie difficili da accettare.
Eppure, accanto alle cure cliniche, Gilda ha scelto di affiancare un percorso personale. “Come Terra, alle cure tradizionali ho affiancato un percorso di guarigione interiore”, spiega.
Non si tratta di rifiutare la medicina, ma di arricchirla con la forza della mente e della resilienza, cercando dentro di sé un equilibrio che potesse accompagnarla nelle cure.
Scrivere per cambiare la narrazione
Il romanzo non è soltanto un atto creativo, ma un gesto profondamente politico e umano:
Ho scritto per dare coraggio a chi vive situazioni del genere.
E in parte per cambiare la narrazione: conosco gente importante che si vergogna di essere malata e finge di essere sana.
Per tanti è una cosa deplorevole e lo capisco: non è divertente essere malati, ma voglio fare in modo che non ci siano più etichette.
Le sue parole colpiscono perché ribaltano un tabù ancora forte: l’idea che la malattia debba essere nascosta, come se fosse un difetto da celare agli occhi degli altri.
Per Gilda, invece, il racconto è liberazione. È condivisione. È il tentativo di rompere il silenzio per dire a chi soffre: non siete soli.
Il sostegno della famiglia e la forza dell’amore

Scrivere non è stato facile. Gilda racconta che raccontare tutto è stato doloroso, anche fisicamente. In questo contesto, fondamentale è stato il marito, a cui riserva parole speciali:
Mio marito Cristi, quando vedeva che stavo davvero male, mi proibiva di andare avanti.
Lui è la mia colonna: da quando sono malata ho dato un valore profondo al mio spazio.
Lui è il guardiano di quello spazio.
La famiglia è stata – e continua a essere – il pilastro su cui Gilda ha potuto poggiarsi. I tre figli, il marito, i legami affettivi hanno reso più sopportabili i momenti di crisi, offrendo un motivo in più per continuare a combattere. Perché, come ammette lei stessa con un sorriso pieno di determinazione: “Ho voglia di stare ancora un po’ qua”.
La malattia come maestra di vita
Nel suo percorso non sono mancate le ricadute, alcune delle quali recenti e al cervello. Ma nonostante le difficoltà, Gilda ha scelto di raccontare la malattia non come una condanna, ma come un viaggio complesso, capace di insegnare. Ha imparato a dare valore al tempo, a difendere i propri spazi interiori, a distinguere ciò che è davvero importante da ciò che è superfluo.
La sua testimonianza diventa così una lezione di resilienza per chiunque si trovi a fronteggiare momenti di dolore. Perché, come dimostra il suo libro, anche la fragilità può trasformarsi in una forma di forza.
Un messaggio che va oltre la malattia
La storia di Gilda Moratti non è soltanto quella di una donna che combatte contro un tumore. È la storia di una di una persona che ha scelto di non farsi definire dalla diagnosi. Con il suo libro, ha trasformato la sofferenza in un ponte verso gli altri, offrendo parole di incoraggiamento a chi si trova nel buio della malattia.
Il suo messaggio è chiaro: la malattia non deve essere un marchio, né un motivo di vergogna. Può diventare, al contrario, uno strumento per riscoprire la propria forza interiore e per costruire legami più autentici.
La sua voce è un invito a guardare oltre la paura, a scegliere la vita anche quando sembra sfuggire di mano. Ed è proprio da questo coraggio che nasce la speranza di Gilda: che la condivisione possa diventare cura e che il racconto diventi libertà.
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