Arriva il vaccino che previene l’Alzheimer: quando i test sulle persone?

Una ricerca dell'Università del New Mexico ha realizzato un vaccino innovativo che sembrerebbe efficace per prevenire l'Alzheimer. Vediamo cosa è stato scoperto.

Giorgia Fazio
Giorgia Fazio
Estremamente curiosa di questioni attuali, diritti umani e ambiente. Nel tempo libero legge testi di filosofia orientale. Se non c’è differenza non c’è relazione” è il suo mantra.
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L’Università del New Mexico ha condotto una ricerca che ha portato alla realizzazione di un vaccino che prevedrebbe l’Alzheimer. I primi test, con esito positivo, sono stati svolti su alcuni topi geneticamente modificati e primati non umani; ora inizieranno quelli sulle persone.

Se i risultati continueranno a essere positivi, si assisterebbe a una rivoluzione nel mondo della medicina e nella lotta al morbo di Alzheimer. Vediamo meglio cosa è stato scoperto e in che modo agisce il vaccino sulla malattia.

Come funziona il vaccino?

Un gruppo di scienziati dell’Università del New Mexico ha condotto una ricerca guidata dal professor Kiran Bhaskar, la quale è stata pubblicata sulla rivista ufficiale dell’Alzheimer’s Association, Alzheimer’s & Dementia.

I ricercatori hanno realizzato un vaccino in grado di colpire la proteina tau, responsabile dei grovigli che si formano nel cervello delle persone affette dalla malattia. Nello specifico, il vaccino si basa sulla regione pT181, considerata un biomarcatore chiave del morbo.

L’innovazione apportata da tale studio, dunque, è il coinvolgimento della proteina tau, per l’appunto, e non della beta-amiloide. Quest’ultima proteina, infatti, viene spesso associata all’Alzheimer e, di conseguenza, bersagliata dai vaccini. I benefici, però, si sono rivelati limitati.

Leggi anche: Alzheimer, uno studio italiano ha scoperto un nuovo gene che causa la malattia

Cosa hanno rivelato i test?

I primi test del vaccino realizzato dall’Università del New Mexico sono stati condotti su topi geneticamente modificati. Dalla sperimentazione è emersa una riduzione degli ammassi proteici in aree cruciali e un miglioramento nei test di memoria.

Altri vaccini sono stati somministrati su macachi rhesus, ovvero primati non umani con un sistema immunitario simile a quello delle persone. Anche in questo caso si è assistito a una forte riproduzione di anticorpi e alla persistenza nel tempo.

In un secondo momento, gli anticorpi prelevati dal siero di tali primati sono stati testati su campioni del sangue di pazienti con lieve deterioramento cognitivo e su tessuti cerebrali di persone decedute con Alzheimer.

Anche in questo caso i risultati hanno dimostrato che gli anticorpi riconoscono e si legano alla versione umana della tau. Rispetto alla sperimentazione su soggetti umani, dunque, il professor Kiran Bhaskar ha fatto sapere: “Dato che abbiamo dimostrato l’efficacia sui primati non umani, penso che siamo molto più vicini a una sperimentazione clinica“.

I ricercatori, infatti, stanno cercando finanziamenti da investitori e fondazioni per avviare una fase 1 di test sull’essere umano, utilizzando particelle virus-simili.

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L’utilizzo di particelle virus-simili

Il vaccino, infatti, è stato realizzato con una tecnologia a base di particelle virus-simili, che non presentano materiale genetico ma che sono in grado di mettere in contatto frammenti proteici con il sistema immunitario.

A tal proposito Bhaskar ha affermato: “I vaccini a base di VLP hanno dimostrato di creare un’immunità duratura, con una sola inoculazione primaria e due dosi di richiamo“.

Ciò rappresenta un punto importante, in quanto non sono richiesti adiuvanti, ossia sostanze aggiunte che stimolino la risposta immunitaria. In tal modo, questi vaccini sono più sicuri per l’essere umano.

La ricercatrice Nicole Maphis, prima autrice degli articoli sullo studio, ha sottolineato, inoltre, l’importanza delle sperimentazioni sui primati non umani: I topi non hanno una risposta immunitaria simile a quella umana, ma questi primati mostrano una reazione molto più comparabile“.

A essere determinante per lo studio è stata la collaborazione tra vari istituti di ricerca, che ha consolidato la validità del vaccino e ha preparato il terreno per i test clinici futuri.

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