Nella tomba “maledetta” di Tutankhamon trovato un fungo che combatte la leucemia

Secondo alcuni studiosi, un fungo presente in alcune tombe millenarie, tra cui quella di Tutankhamon, potrebbe sconfiggere la leucemia.

Giorgia Fazio
Giorgia Fazio
Estremamente curiosa di questioni attuali, diritti umani e ambiente. Nel tempo libero legge testi di filosofia orientale. Se non c’è differenza non c’è relazione” è il suo mantra.
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Negli anni Venti è stata aperta la tomba di Tutankhamon e, in seguito, una serie di archeologi è morta, dando vita a quella che è stata definita come “maledizione del faraone”.

Dieci anni dopo si è scoperto, però, che ad aver causato i decessi era stato l’Aspergillus flavus, a lungo considerato nocivo per gli esseri umani. Recentemente, però, gli scienziati hanno dimostrato come il fungo possa essere una possibile arma contro la leucemia.

Perché non è una “maledizione del faraone”

Per decenni l’Aspergillus flavus è stato considerato un fungo nocivo per l’essere umano. Dopo l’apertura della tomba di Tutankhamon, infatti, molti archeologi sono morti, alimentando la cosiddetta “maledizione del faraone”.

È stato, infatti, scoperto che le spore fungine rimaste dormienti per millenni erano la causa della scomparsa degli studiosi. Allo stesso modo, negli anni Settanta, altri 10 archeologi sono deceduti dopo essere entrati nella tomba del re Casimiro IV in Polonia.

Anche in questo caso, il responsabile era l’Aspergillus flavus, che ha iniziato a essere inteso come nocivo per l’essere umano. Ora, però, la ricerca scientifica ha scoperto come il fungo possa rappresentare una possibile arma contro la leucemia.

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La scoperta degli scienziati

I ricercatori dell’Università della Pennsylvania hanno isolato una nuova classe di composti dell’Aspergillus flavus, dopo averli modificati chimicamente e testati su cellule tumorali. I risultati ottenuti sono stati positivi, così da aprire la strada a terapie alternative per la cura della leucemia.

Dopo aver isolato quattro molecole diverse, infatti, si è notato come tutte avevano la stessa struttura ad anelli intrecciati. Questo aspetto non era mai stato descritto prima e tali molecole sono state chiamate asperigimicine, in omaggio al fungo da cui provengono.

Nello specifico, due di queste hanno mostrato grande efficienza contro le cellule leucemiche, senza modifiche aggiuntive. Un’altra variante, potenziata con un lipide simile a quello della pappa reale, ha avuto un’efficacia pari a citabarina e daunorubicina, due farmaci usati contro la leucemia. Ciò ha dimostrato come le asperigimicine possano essere prese in considerazione come una nuova classe di medicinali specifici e potenti.

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I geni che sono stati rintracciati

L’elemento centrale della terapia risiede nei RiPPs (peptidi ribosomiali modificati), cioè sostanze che i ricercatori hanno avuto difficoltà a identificare nei funghi, come spiegato dalla post-dottoranda Qiuyue Nie: “Isolare questi composti è difficile. Ma proprio questa complessità dona loro un’attività biologica straordinaria”.

La scoperta dei RiPPs nei funghi è solo recente, perché per molto tempo sono stati scambiati per altri tipi di molecole. I ricercatori dell’Università della Pennsylvenia, quindi, hanno individuato nel A. flavus un gene responsabile della produzione di RiPPs.

Per capire il motivo per cui i lipidi aumentino l’efficacia delle asperigimicine, il team di studiosi ha analizzato il comportamento dei geni nelle cellule leucemiche, rintracciando il gene SLC46A3.

Secondo quanto sostenuto da Nie: Questo gene agisce come un varco: non solo permette l’ingresso delle asperigimicine, ma potrebbe facilitare anche quello di altri peptidi ciclici”.

Come funzionano le asperigimicine

Secondo altri studi, le asperigimicine agirebbero bloccando la formazione dei microtubuli, necessari per la divisione cellulare. I ricercatori, infatti, fanno sapere che le cellule tumorali sono solite moltiplicarsi senza controllo e, grazie a tali composti, il processo viene interrotto.

Inoltre, non sono stati rintracciati effetti negativi delle asperigimicine su cellule di seno, fegato, polmoni, batteri o altri funghi, a dimostrazione di un’azione selettiva che limita gli effetti collaterali e aumenta la sicurezza di eventuali terapie future.

Il team di studiosi ritiene che esistano numerosi RiPPs ancora da scoprire, ma che potrebbero avere un ampio potenziale farmacologico. Il passo successivo, a questo punto, sarà testare l’efficacia delle asperigimicine sugli animali, per poi arrivare alla sperimentazione clinica sull’uomo.

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