Il digiuno intermittente è il vero rimedio contro la stanchezza? La sensazione di gonfiore e annebbiamento mattutino colpisce sempre più persone. È come se il corpo non riuscisse mai davvero a recuperare le forze, nonostante le ore di sonno, e spesso non è colpa di quanto si mangia, ma di quando lo si fa.
Tra colazione, spuntino, pranzo, merenda, cena, e snack davanti alla TV, il nostro organismo è sempre in fase di digestione e assorbimento, un processo che richiede un dispendio energetico enorme e che inibisce i naturali processi di riparazione cellulare.
La scienza sta dimostrando che questa alimentazione a ciclo continuo è innaturale. I nostri antenati, cacciatori-raccoglitori, si sono evoluti per funzionare al meglio in condizioni di digiuno, alternando momenti di abbondanza a periodi di astinenza. È qui che entra in gioco il digiuno intermittente, o time-restricted eating.
Non si tratta di un trend passeggero, ma di un protocollo studiato ai massimi livelli accademici. Una revisione fondamentale pubblicata sul prestigioso New England Journal of Medicine, dal titolo Effects of Intermittent Fasting on Health, Aging, and Disease ha evidenziato come l’astensione dal cibo per 12-16 ore inneschi un vero e proprio “switch metabolico”.
Il corpo smette di usare il glucosio come carburante primario e inizia a bruciare i grassi, producendo corpi chetonici. Questo cambio di marcia non serve solo a dimagrire, è il segnale che dà il via alle grandi pulizie interne.
L’autofagia e la chiarezza mentale

Perché il digiuno intermittente viene proposto come soluzione a questo diffuso senso di malessere? La risposta risiede in un meccanismo cellulare chiamato autofagia, termine che deriva dal greco che significa “mangiare sé stessi” che, paradossalmente, è un processo salvavita.
Quando smettiamo di introdurre cibo per un periodo prolungato, le nostre cellule, non dovendo occuparsi della gestione dei nutrienti in entrata, agiscono così: individuano proteine danneggiate, organelli vecchi e detriti tossici accumulati nel tempo e li ‘digeriscono’, riciclandoli per produrre energia e nuove componenti cellulari sane.
Questa pratica dunque funziona come una vera e propria pulizia ecologica del nostro organismo. Mark Mattson, neuroscienziato della Johns Hopkins University che ha studiato il fenomeno per 25 anni, sottolinea nello studio Effects of Intermittent Fasting on Health, Aging, and Disease come questo processo sia fondamentale per la longevità e la salute cerebrale.
Durante il digiuno, i livelli di infiammazione sistemica crollano e la sensibilità all’insulina migliora drasticamente, proteggendo dal diabete di tipo 2 e riducendo quel senso di brain fog, quella nebbia mentale che spesso ci accompagna dopo pasti ricchi di carboidrati. Il risultato? Più energia, mente più lucida e un corpo che funziona come una macchina appena revisionata.
7 regole d’oro per iniziare il digiuno intermittente senza rischi
Saltare i pasti a caso può essere controproducente e rischia di stressare l’organismo, in quanto aumenta i livelli di cortisolo. Ecco le 7 regole per approcciare il digiuno intermittente come strumento di benessere, come rivela lo studio del New England Journal of Medicine.
1. Consultare il medico prima di iniziare
Sembra banale, ma è la regola zero. Il digiuno modifica l’equilibrio elettrolitico e glicemico. Questo protocollo potrebbe essere invece pericoloso per chi soffre di diabete, ipotensione, di disturbi del comportamento alimentare (DCA), e per le donne incinte.
2. Scegliere il protocollo 16:8
È sempre bene concentrare tutti i pasti in una finestra di 8 ore, ad esempio dalle 12:00 alle 20:00, digiunando per le restanti 16, per poi saltare la colazione e anticipare leggermente la cena.
3. L’idratazione è sacra
Durante la fase di digiuno è necessario bere. Acqua, tè non zuccherato, caffè nero, senza zucchero né latte, e tisane aiutano a gestire il senso di fame e a drenare le tossine rilasciate.
4. Non abbuffarsi nella finestra di alimentazione
Questo è l’errore più comune. Se nelle 8 ore di pasti si assumono cibi spazzatura, si annullano completamente i benefici antinfiammatori. La qualità del cibo deve rimanere alta: proteine, grassi sani, fibre e verdure.
5. Chiudere la cucina presto la sera
I nostri ritmi circadiani suggeriscono che è meglio mangiare quando c’è luce. Terminare l’ultimo pasto almeno 3 ore prima di andare a dormire, aiuta a migliorare la qualità del sonno e massimizzare l’autofagia notturna.
6. Rompere il digiuno con gentilezza
Non aggredire lo stomaco vuoto con un pasto pesante o picchi glicemici violenti è altrettanto importante. Il primo pasto dovrebbe essere bilanciato, ricco di proteine e povero di zuccheri semplici, per mantenere stabile l’energia.
7. Ascoltare il proprio corpo (davvero)
Un leggero senso di fame è normale all’inizio, ma se si avvertono vertigini, debolezza estrema o irritabilità eccessiva, bisogna fermarsi. Il digiuno deve essere uno stress positivo, noto come eustress, non una sofferenza che debilita.
Il digiuno intermittente, quindi, è uno strumento potente che ci riconnette con i ritmi biologici per cui siamo stati progettati. In un mondo che ci spinge a consumare costantemente, scegliere di fermarsi è un atto di cura verso se stessi.
Renzi parla del suo digiuno interimittente: “Sono dimagrito molto, mi ha convinto Fiorello”


