Con 106 sì, 61 no e 11 astensioni passa la riforma costituzionale che introduce la separazione delle carriere della magistratura. A essersi dichiarata contenta della decisione del Senato è stata Giorgia Meloni, a cui si è accodato anche Forza Italia.
Contrastante, invece, il pensiero dell’opposizione, che si prepara al referendum, presumibilmente della prossima primavera. Vediamo, però, meglio in cosa consiste la riforma e quali sono i pensieri a riguardo.
Cos’è la separazione delle carriere?
La riforma della separazione delle carriere dei magistrati è stata voluta dalla Presidente Meloni e dal ministro della Giustizia Nordio. Attualmente, l’articolo 104 della Costituzione afferma che: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere“.
Attraverso l’intervento riformativo, a questa frase si aggiungerebbe: “Essa è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente“. Ciò implicherebbe, quindi, una divisione dei ruoli di chi giudica, ossia i giudici, e di chi richiede all’organo giurisdizionale, cioè i pubblici ministeri.
Entrambi gli organi sono presieduti dal Presidente della Repubblica e sono composti dal primo presidente e dal procuratore generale della Corte di cassazione. I membri dei due Consigli superiori della magistratura, infine, saranno composti per un terzo da membri laici e per due terzi da togati, i quali rimarranno in carica per 4 anni.
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Il sì del Senato

La riforma della Giustizia sulla separazione delle cariche è stata approvata ieri, 22 luglio, dal Senato, con 106 voti favorevoli, 61 contrari e 11 astensioni. Già lo scorso 16 gennaio il disegno di legge era stato accolto favorevolmente dalla Camera.
Adesso la riforma dovrà tornare per una seconda volta a Montecitorio e poi al Senato, secondo quanto riportato nell’articolo 138 della Costituzione. Solo dopo tale iter il testo entrerà ufficialmente in vigore.
A essere presenti nell’Aula di Palazzo Madama erano il ministro della Giustizia Carlo Nordio, quello per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, il viceministro Francesco Paolo Sisto e, verso la fine dell’incontro, sono arrivati Antonio Tajani, Annamaria Bernini e Paolo Zangrillo.
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Pareri discordanti
La riforma, però, non è stata accolta da tutte le varie fazioni in maniera benevola. A dichiararsi favorevole del sì del Senato è stata, indubbiamente, la Presidente Giorgia Meloni, che sui propri profili social ha scritto:
L’approvazione della riforma costituzionale della giustizia segna un passo importante verso un impegno che avevamo preso con gli italiani e che stiamo portando avanti con decisione.
Oggi confermiamo la nostra determinazione nel dare all’Italia un sistema giudiziario sempre più efficiente, equo e trasparente.
Il ministro Carlo Nordio, invece, ha sostenuto che: “Il ddl è un passo molto importante verso l’indipendenza della magistratura da se stessa, dalle sue correnti e anche un balzo gigantesco verso l’attuazione del processo accusatorio voluto da Giuliano Vassalli“.
Si accoda a tale pensiero anche Forza Italia, che ha dedicato il sì a Silvio Berlusconi. Antonio Tajani, quindi, ha dichiarato: “Si compie un grande sogno perseguito con tenacia dal presidente Berlusconi e da Forza Italia. Un sogno di libertà, di sicurezza, di garanzie per i cittadini“.
In totale disaccordo con la riforma si pone l’opposizione, che considera la separazione dei poteri come un esempio di subordinazione del potere giudiziario alla politica. Contrari, quindi, Matteo Renzi, Giuseppe Conte e Roberto Scarpinato, quest’ultimo convinto che “la separazione delle carriere è un regolamento di conti della casta dei potenti contro la magistratura“.
Duro anche il commento dell’esponente del Pd Dario Franceschini, che ha sostenuto: “Il Consiglio superiore della magistratura dei soli Pm, separato, autonomo, autogestito, dai confini ignoti, farà dei Pm dei superpoliziotti, il che conduce a un rischio ignoto“.