Svolta storica della Consulta che si pone sempre più a sostegno delle coppie omosessuali. L’ultima sentenza, infatti, riconosce il diritto al congedo parentale per la madre intenzionale, considerando illegittimo il decreto 151 del 2001.
Due donne, infatti, che si ritrovano a costruire insieme un progetto di genitorialità, devono avere gli stessi diritti di una coppia eterosessuale, dove c’è chi porta avanti la gravidanza e chi si fa responsabile di ogni esigenza del minore.
La sentenza storica
Sentenza storica della Consulta, che ha riconosciuto costituzionalmente illegittimo l’articolo 27-bis del decreto legislativo numero 151 del 2001.
Nello specifico, la parte contestata è quella relativa al non riconoscimento del congedo di paternità obbligatorio a una donna che lavora, madre intenzionale in una coppia omosessuale, risultante nei registri dello stato civile.
La norma è stata considerata discriminatoria dalla Corte d’appello di Brescia, in quanto rivolta esclusivamente al padre, il quale ha l’obbligo di fruire del congedo di paternità. Ciò consiste in 10 giorni di astensione dal lavoro, retribuiti al 100%.
Risulta esclusa, quindi, la “seconda madre” in una coppia omosessuale, dove entrambe le donne sono riconosciute legalmente dallo Stato italiano come madri, perché iscritte nei registri dello stato civile.
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Il ruolo della madre intenzionale

Ciò che è stato sottolineato è la disparità di trattamento per le coppie genitoriali omosessuali, seppure siano riconosciute legittimamente dallo Stato come genitrici di un minore concepito attraverso tecniche di procreazione assistita.
L’iter, svolto all’estero secondo le leggi del Paese scelto, è un evidente indicatore della volontà di entrambe condividere un progetto di genitorialità, pari a quello delle coppie eterosessuali, che si basa sulla responsabilità genitoriale, ossia sul soddisfare i bisogni del minore.
Inoltre, nelle coppie omogenitoriali è possibile equiparare quella che viene definita “madre intenzionale” alla figura paterna, in quanto condivide l’impegno di cura e responsabilità nei confronti del minore e partecipa attivamente alla sua crescita.
Come sostenuto dalla Consulta, quindi, non è implicato l’orientamento sessuale nell’assunzione di tale responsabilità, siccome al centro viene posto il minore. Quest’ultimo, tra l’altro, come sostenuto dagli articoli 315-bis e 337-ter del Codice civile, ha il diritto di mantenere un rapporto con entrambe le genitrici.
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Alcune considerazioni a riguardo
A schierarsi contro la sentenza è stato Fratelli d’Italia, che attraverso la deputata e responsabile del Dipartimento Famiglia e Valori non negoziabili del partito, ha fatto sapere: “La Corte va contro la scienza e la biologia e dopo aver aperto un piccolo spiraglio adesso apre una pericolosa voragine“.
A tale pensiero si è accodato anche Jacopo Coghe, portavoce di Pro vita & famiglia, che ha sostenuto:
La sentenza è la più chiara ed evidente dimostrazione di quanto ridicolo e allo stesso tempo drammatico sia l’impatto delle follie gender sull’ordinamento giuridico e sociale italiano.
Aver abbandonato il diritto naturale e la realtà scientifica non poteva che generare questo caos, di cui fanno purtroppo le spese i soggetti più fragili e indifesi, i bambini a cui è stato strappato il diritto di conoscere la loro mamma e il loro papà.
La sentenza, a ogni modo, ha ottenuto anche dei consensi, come dimostrato dall’eurodeputato e responsabile diritti Alessandro Zan, il quale riconosce “il diritto fondamentale per le famiglie omogenitoriali di poter stare vicino ai propri figli nei loro primi giorni di vita“.
Alessandra Maiorino, senatrice del Movimento 5 stelle, invece, ha parlato di “vittoria di civiltà contro una norma miope e discriminatoria che ignorava la realtà delle famiglie ‘arcobaleno’, escludendo di fatto una madre a tutti gli effetti dal sacrosanto diritto di assistere il proprio neonato nei primi giorni di vita“. Fiorella Zabatta, e Azione Verdi e Sinistra, la decisione “mette prima di tutto il benessere del bambino“.