La Corte di Cassazione ha approvato gli accordi prematrimoniali, facendo riferimento a un’ordinanza del 21 luglio scorso, che prevede lecito un accordo intercorso tra moglie e marito, in caso di separazione.
La sentenza, quindi, va a perfezionare il provvedimento, sottolineando gli impegni che i coniugi devono rispettare, una volta terminato il matrimonio. La questione è sorta in seguito a un caso che ha coinvolto una coppia di Mantova, nel 2019. Vediamo i dettagli della sentenza.
La sentenza storica
La sentenza storica della Cassazione arriva dopo un’ordinanza del 21 luglio scorso, che ha coinvolto una coppia di Mantova: lei aveva contribuito alle spese di una casa intestata solo al marito, il quale aveva a sua volta firmato un accordo privato in cui si impegnava a risarcire una determinata somma di denaro, in caso di separazione.
Nel 2019, quindi, i due si sono separati e la somma pattuita da risarcire è ammontata a 146.400 euro totali, mentre la donna ha rinunciato a beni come gli arredi dell’immobile e un’imbarcazione.
Secondo quanto riportato da Il Sole 24 e Il Messaggero, con l’ordinanza 20415, la Corte di Cassazione, dunque, ha ritenuto lecito l’accordo tra due coniugi. La separazione, infatti, non è stata considerata dalla Suprema Corte come causa dell’accordo ma come accadimento dal quale dipendeva l’efficacia delle pattuizioni stabilite di coniugi.
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Le motivazioni della Suprema Corte

La sentenza della Corte di Cassazione rappresenta un ulteriore tassello circa i patti stipulati durante il matrimonio, in vista di eventuali separazione o divorzio. In questo modo, si accetta la concezione dell’unione matrimoniale come un’istituzione in cui marito e moglie possono “negoziare” preventivamente sulla fine della relazione.
A tal proposito, Adriano Bordignon, presidente del Forum nazionale delle associazioni familiari, ha espresso il proprio punto di vista, analizzando il matrimonio da più punti di vista:
La recente pronuncia della Corte di Cassazione, favorevole a un’apertura verso i patti prematrimoniali, segna un possibile cambio di rotta nella disciplina dei rapporti familiari.
Il matrimonio, in termini tecnici, è un negozio giuridico, ossia un atto di volontà di due soggetti dal quale derivano effetti giuridici.
Non è, però, un contratto in senso proprio.
I contratti rappresentano una specie del più ampio genus “negozio giuridico” e sono strutturati per soddisfare interessi reciproci, mediante un equilibrio tra prestazioni e contro prestazioni.
Il matrimonio, al contrario, non nasce per realizzare un interesse patrimoniale, ma per fondare una comunione di vita, basata sul dono di sé all’altro coniuge.
La Suprema Corte, a ogni modo, ha spiegato la propria decisione, chiarendo che:
Si discute della validità dei patti tra coniugi, in previsione della crisi familiare, volti a stabilire in che modo debbano essere regolati i loro rapporti personali e patrimoniali nel momento in cui dovesse sopravvivere una crisi matrimoniale.
È stata via via valorizzata l’autonomia negoziale privata dei coniugi, anche nella fase patologica della crisi.
La scrittura privata in questione risulta perfettamente lecita, perché prevede un riconoscimento di debito in favore della moglie, a fronte dell’apporto finanziario della stessa per il restauro dell’immobile di proprietà del marito e per l’acquisto del mobilio e di beni mobili registrati, ma riconosce anche al marito un’imbarcazione, un motociclo, l’arredamento della casa familiare, nonché una somma di denaro, regolamentando in modo libero, ragionato ed equilibrato, l’assetto patrimoniale dei coniugi in caso di scioglimento della comunione legale.
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