Cresce l’elenco delle multinazionali che lasciano la Russia

Nestlé, Philip Morris e Imperial Brands si sono uniti all'elenco delle multinazionali che si sono ritirate dalla Russia, elenco che già comprendeva i colossi McDonald's e Coca Cola.

Tommaso Panza
Tommaso Panza
Salentino, classe 1993. Una laurea in mediazione linguistica. Fondazione Basso(Roma). Amante della lettura e del cinema, in particolare delle opere che raccontano spaccati di realtà. Deciso sin da piccolo a diventare un giornalista.
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Nestlé, Philip Morris, e Imperial Brands ieri si sono unite all’elenco delle multinazionali che si sono ritirate dalla Russia, mentre cresce la pressione da parte dei consumatori occidentali che fanno pressione sulle multinazionali occidentali perché si schierino contro l’invasione dell’Ucraina.

Il più grande gruppo mondiale di prodotti alimentari confezionati (Nestlé) si è allineato con i rivali Procter & Gamble e Unilever nel fermare gli investimenti in Russia, mentre il produttore di sigarette Philip Morris ha affermato che avrebbe ridimensionato la produzione, Imperial invece il quarto produttore e distributore di tabacco al mondo è andata oltre e l’ha sospesa. Le mosse sono arrivate dopo che Coca-Cola e McDonald’s hanno interrotto le vendite in Russia.

Le multinazionali occidentali abbandonano la Russia: cosa comporta?

Russia Unita, il partito di Putin, ha varato la proposta di espropriare e nazionalizzare gli impianti produttivi di tutte le multinazionali occidentali che hanno sospeso le attività nel Paese come forma di protesta contro l’invasione dell’Ucraina. L’idea è stata avanzata dal segretario del partito, Andrei Turchak, che ha dichiarato:

Russia Unita propone la nazionalizzazione degli impianti manifatturieri delle multinazionali che hanno annunciato di lasciare e chiudere le proprie fabbriche in Russia in occasione dell’ “operazione speciale in Ucraina”.

Simili azioni delle multinazionali occidentali non sono altro che bancarotta fraudolenta. Si tratta in ogni caso di una decisione meramente politica il cui prezzo è che un gran numero di lavoratori russi sono stati licenziati dalla sera alla mattina, senza contare che agendo in questo modo, queste compagnie danneggiano la loro stessa economia, dandosi la zappa sui piedi.

L’Occidente ha cominciato la guerra delle sanzioni contro la Russia, cui si sono aggiunti non solo i governi ma anche le compagnie private. Alcune di queste annunciano di uscire dagli affari in Russia e chiudono le loro fabbriche. La proposta di nazionalizzazione è una misura estrema, ma non tolleriamo le pugnalate nella schiena e proteggeremo la nostra gente – ha concluso Turchak.

Russia: multinazionali occidentali chiudono e prevedono perdite per centinaia di milioni

McDonald’s ha affermato che la chiusura temporanea dei suoi 847 negozi nel paese gli costerebbe 50 milioni di dollari al mese. Anche l’ azienda di abbigliamento sportivo Adidas ha quantificato il costo del ridimensionamento delle sue operazioni, affermando che avrebbe subito Perdite fino a 250 milioni di euro. Anche Pepsi e Starbucks si sono unite alle dozzine di multinazionali globali che chiudono negozi, fabbriche o bloccano investimenti per conformarsi alle sanzioni occidentali.

Yum Brands Inc, capogruppo del gigante del pollo fritto americano KFC, ha affermato che stava sospendendo gli investimenti in Russia, un mercato che lo ha aiutato a raggiungere uno sviluppo record lo scorso anno. Mosca, che definisce la sua invasione dell’Ucraina una “operazione militare speciale”, è stata colpita da radicali sanzioni occidentali che hanno soffocato il commercio, portato al crollo del rublo e isolato ulteriormente il Paese. Anche banche e oligarchi miliardari russi sono stati presi di mira, con la Commissione europea che ha preparato nuove sanzioni contro altri oligarchi e politici russi e tre banche bielorusse.

Mentre la guerra in Ucraina e le sanzioni hanno aumentato i prezzi delle materie prime esportate dalla Russia come petrolio, gas naturale e titanio, tali sanzioni hanno in gran parte impedito a Mosca di trarre vantaggio dai prezzi elevati. Martedì gli Stati Uniti hanno vietato le importazioni di petrolio russo.

La società statunitense di servizi per i giacimenti petroliferi Schlumberger, che ricava circa il 5% delle sue entrate dalla Russia, ha affermato che il conflitto in corso danneggerà probabilmente i suoi risultati in questo trimestre. La società norvegese Yara, uno dei principali produttori di fertilizzanti, ha dichiarato mercoledì che ridurrà la produzione di ammoniaca e urea in Italia e Francia a causa dell’aumento dei prezzi del gas.

Leggi anche: Washington alza il tiro: stop petrolio russo negli Stati Uniti

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Tommaso Panza
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Salentino, classe 1993. Una laurea in mediazione linguistica. Fondazione Basso(Roma). Amante della lettura e del cinema, in particolare delle opere che raccontano spaccati di realtà. Deciso sin da piccolo a diventare un giornalista.
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