Le responsabilità di uno Stato che non tutela le donne perseguitate e uccise dagli ex

Da inizio anno, sono 38 i casi di donne uccise dagli ex fidanzati che non accettavano la fine della relazione. Lo Stato è inerme di fronte a tale fenomeno. Leggi più efficaci sono un'urgenza prioritaria.

Asia Buconi
Asia Buconi
Classe 1998, romana. Laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali, ama l’attualità e la letteratura, ma la sua passione più grande è la sociologia, soprattutto se applicata a tematiche attuali. Nel tempo libero divora film e serie tv.
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L’omicidio di Vanessa Zappalà per mano dell’ex fidanzato Antonio Sciuto, che poi si è ucciso, è il ripetersi di dinamiche ormai ben note a tutti. Quanto accaduto ad Aci Trezza è il classico caso di “femminicidio annunciato”: la fine di una storia, la mancata accettazione di essa da parte dell’ex-partner violento, poi l’uccisione della donna, spesso consapevole del suo triste destino. La vita di coloro che vengono assediate dall’ex fidanzato che non accetta la parola “fine” potrebbe essere assimilata a quella dei pentiti di mafia, dei testimoni collaboratori di giustizia, che vivono col giogo di una condanna a morte sulle spalle. Per questo lo Stato li mette sotto scorta.

Al contrario, non c’è nessuna tutela per le donne che vivono assediate dal loro futuro assassino. Alcune, che ben conoscono le dinamiche della giustizia italiana, sanno che prima o poi quell’uomo violento che le perseguita le ucciderà. É il caso di Clara Ceccarella, 70enne di Genova, uccisa dall’ex-compagno 60enne che non accettava la fine della storia: si era già pagata il funerale, aveva capito che sarebbe finita male racconterà un collega di lavoro della donna. Come Clara, molte altre. Poi, ci sono quelle che pensano che il partner, nonostante i chiari segnali di squilibrio, non si spingerebbe mai a tanto. E poi, con grande sorpresa, a tanto si spinge eccome.

Da inizio anno sono 38 i casi di femminicidio che hanno avuto luogo in Italia: la media è di una donna morta ogni 3 giorni per mano dell’ex. Una lunga lista che, però, non sembrerebbe abbastanza. Dall’uccisione di Vanessa qualcosa si è mosso e ognuno ha portato la propria soluzione: chi suggerisce di rieducare gli uomini (e, nel frattempo, chissà quante altre morte), chi di attuare un programma di trasferimento in un altro Paese della donna in pericolo (stile film holliwoodiano).

La realtà è che per mettere fine a queste tragiche morti, che non sono altro che lo strascico della più becera delle mentalità, è necessario cambiare qualcosa nelle leggi, intervenire sul livello più importante, quello giuridico. Se le leggi servono per tutelare il popolo, che allora assolvano davvero alla loro funzione.

Lo Stato non tutela le donne, Vanessa Zappalà: un omicidio annunciato ma “imponderabile”

“Il 4 giugno, alle 20.13, poi alle 20.15 e alle 20.18, è passato davanti il panificio con un’auto Dacia monovolume di colore bianco, ha rallentato davanti alla finestra dove lavoro, per farmi notare la sua presenza; 5 giugno, alle 12,05 è passato con un’auto Suzuki” e così ancora per pagine e pagine. Queste le annotazioni che Vanessa Zappalà faceva sul suo preziosissimo diario, quello che il 5 giugno consegnerà, soddisfatta per le prove raccolte, al maresciallo Marcì.

Tre giorni dopo, Antonio Sciuto si renderà protagonista di un’ulteriore molestia e Vanessa ne approfitterà per chiamare subito in caserma. A quel punto, il maresciallo Marcì inseguirà Sciuto e lo arresterà in flagranza. Il 12 giugno, appena tre giorni dopo, lo stalker era già libero: il gip disporrà solo il divieto di avvicinamento. Il materiale raccolto dalla ragazza, all’improvviso, non aveva più alcun valore.

L’onda di indignazione che è seguita all’omicidio di Vanessa Zappalà ha così travolto il gip, colpevole di aver “liberato” Sciuto dagli arresti domiciliari: il giudice, stando alle parole del presidente dell’Ufficio Gip di Catania Nunzio Sarpietro, sta vivendo un momento di travaglio interiore dopo la morte di quella ragazza. Mi ha detto: ‘non potevo fare niente di diverso’ . Sarpietro ha sempre difeso l’operato del collega: “anche se lui (Antonio Sciuto, ndr) fosse stato agli arresti domiciliari sarebbe potuto evadere e commettere lo stesso delitto”, certamente, ma non se si intervenisse in maniera tempestiva in caso di trasgressione degli arresti domiciliari, verrebbe da dire.

La verità è che qualcosa, in questo senso, si potrebbe fare. Ma nessuno si sta adoperando per attuare misure realmente in grado di prevenire episodi come quello di Aci Trezza: uccisioni annunciate, prevedibili. Continuare a fare affidamento su una legge inefficace è la vera responsabilità di questo Paese. “Per le norme che abbiamo, dare il carcere a uno stalker è abbastanza difficile”, continua Sarpietro. Che ha poi parlato di quello di Vanessa come di un “omicidio imponderabile”, ma il block notes della ragazza non sarebbe d’accordo.

Anche di fronte a mille evidenze però, muoversi adeguatamente tra le innumerevoli denunce di questo tipo è complesso: “nel 70% dei casi leggiamo sulla denuncia: ‘se mi lasci ti ammazzo’, ma spesso è difficile capire come vanno davvero le cose”. Leggi inefficaci, morti assicurate.

Lo Stato non tutela le donne perseguitate dagli ex: cosa si potrebbe fare?

Lo Stato non tutela le donne perseguitate dagli ex: cosa si potrebbe fare?

Cosa si potrebbe fare, concretamente, per tutelare le donne perseguitate dal proprio ex fidanzato? É sempre Nunzio Sarpietro a proporre una possibile soluzione: “Mettere in campo strumenti adeguati: ad esempio, un particolare tipo di braccialetto elettronico, che segnala la presenza dell’indagato nel momento in cui si sposta in una determinata zona e, contemporaneamente, un dispositivo per la vittima che emetta segnali acustici e luminosi quando lo stalker viola la distanza impostagli dal provvedimento di non avvicinamento”. Ma qui il meccanismo giuridico si inceppa di nuovo: “oggi il braccialetto si può mettere solo agli arrestati domiciliari”. Insomma, una strada senza uscita. O meglio: una strada che conduce tante donne alla morte.

Una soluzione più soft è arrivata dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, secondo il quale “occorrerebbero dei centri di riabilitazione con l’obbligo di frequentazione per monitorare stalker e tentare, nei limiti del possibile, di recuperarli dai loro disturbi, alcuni dei quali legati a problemi culturali e caratteriali, bisogna provarci anche perché non sono pochi”. Ma l’impressione è che, quando l’indignazione per la morte di Vanessa Zappalà si sgonfierà, la situazione rimarrà la stessa di oggi.

L’appello va prima ai giudici: esiste il diritto di interpretazione della legge nel momento in cui la si applica. Uno studio più approfondito dei singoli casi potrebbe portare a provvedimenti diversificati in base alla gravità degli elementi a disposizione. Poi, l’altro appello va alle Istituzioni, al Ministero delle Pari Opportunità, della Giustizia, a tutti i parlamentari: è arrivato il momento di fare qualcosa. Ognuna ha il diritto di trascorrere la propria esistenza serenamente, di vivere “libera da una storia che è finita male”, come cantava Fabrizio Moro. Nessuna dovrà più essere condannata a morte dal proprio ex-compagno. Questo deve essere l’obiettivo di uno Stato che protegge i propri cittadini.

Leggi anche: Omicidio di Vanessa Zappalà: ritrovato morto impiccato l’ex fidanzato Antonio Sciuto

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Classe 1998, romana. Laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali, ama l’attualità e la letteratura, ma la sua passione più grande è la sociologia, soprattutto se applicata a tematiche attuali. Nel tempo libero divora film e serie tv.
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