Per favorire lo sviluppo del linguaggio nei bambini, gli esperti consigliano di adottare il “parentese”. Si tratta di un modo di parlare semplice, chiaro e acuto, che favorisce un miglior riconoscimento delle parole, da parte dei più piccoli.
A dare maggiori informazioni a riguardo è la psicologa Jane Herbert, la quale sottolinea la differenza tra il “parentese” e il “baby talk”, cioè le vocine che spesso si adottano nei confronti dei neonati, che non hanno influenze altrettanto positive sui bimbi.
Vediamo meglio in cosa consiste il “parentese” e in che modo può favorire lo sviluppo delle capacità comunicative dei più piccoli.
Cos’è il “parentese”?
Il parentese è un modo di parlare con i neonati che tutti, almeno una volta, abbiamo adottato. Il termine si ricollega alla parola “parent“, che in inglese vuol dire “genitore”, e indica il momento in cui la voce si fa lenta, squillante e cadenzata, quasi come se si stesse cantando.
Non bisogna confondersi, però, con il “baby talk”, ossia alle vocine che si tendono a rivolgere ai più piccoli, inventando parole o identificando gli oggetti attraverso dei suoni. Un esempio può essere chiamare la macchina “brum brum”.
Il punto di forza del parentese, infatti, è l’importante aiuto che dà ai bambini, affinché possano acquisire un lessico ampio e comprendere le regole di un dialogo efficace.
A sostenere ciò è, nello specifico, la ricercatrice Jane Herbert, professoressa associata di psicologia dello sviluppo all’Università di Wollongong, in Australia. In un articolo sulla piattaforma The Conversation, la psicologa ha esposto, dunque, i benefici e le particolarità di questo tipo di linguaggio.
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L’importanza del suono delle parole

Numerose ricerche hanno dimostrato che i neonati sono “attratti” dal suono delle parole fin dai primi attimi di vita. In particolare, è preferita la voce delle persone che i più piccoli hanno ascoltato quando si trovavano ancora nel pancione.
Allo stesso modo, vengono apprezzate le storie raccontate quando ancora i bimbi non erano nati, dimostrando come ci sia una predisposizione innata dell’essere umano alle parole.
Seppure i neonati non sappiano ancora il significato dei termini, infatti, sono sintonizzati sul loro suono, ancor prima di iniziare a parlare, in quanto crea per loro un ambiente sicuro.
A tal proposito l’esperta ha affermato: “Considerata l’ampia esposizione della maggior parte dei neonati alla voce dei genitori, ascoltare passivamente la mamma o il papà che parlano può essere confortante“.
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Come parlare ai bambini?
I neonati, nonostante non sappiano ancora parlare e non conoscano il significato delle parole, captano i movimenti del viso e i gesti di chi parla loro. È proprio da questi che i più piccoli apprendono le regole della comunicazione, cioè come funzionano i turni di parola e le espressioni durante le conversazioni.
Dal punto di vista linguistico, i bimbi imparano a vocalizzare intenzionalmente fin da subito, creando uno scambio “a due voci” con i genitori, quindi una prima forma di interazione.
La psicologa Herbert, inoltre, ha precisato che non è necessario fare lunghi monologhi con i propri bambini, perché potrebbe risultare difficile per loro decodificare il messaggio. È preferibile, invece, un tono di voce acuto, lento, le cui parole sono allungate e melodiche.
Non bisogna confondere, però, il “parentese” con il “baby talk”, cioè parole inventate o semplificazioni scorrette, come “brum brum” al posto di “macchina” o “bau bau” invece che “cane”. Questo modo di parlare, infatti, non fa altro che confondere il bambino, che non riesce a imparare un linguaggio corretto.
La soluzione, dunque, è quella di utilizzare un modo di parlare concreto, riferito agli oggetti che i più piccoli hanno attorno. In questo modo è possibile attirare l’attenzione del neonato e stimolare il suo linguaggio, nominando ciò che osservano e toccano e descrivendo le azioni che compiono.