Al Festival di Venezia 2025, nella sezione Giornate degli Autori, arriva Amata, il nuovo film di Elisa Amoruso. Una pellicola intensa, capace di dare voce a donne molto diverse tra loro, ma unite da un destino invisibile: quello di confrontarsi con la maternità, tra dolore, scelta e speranza.
Nel cast, tre nomi d’eccezione: Miriam Leone, Tecla Insolia e Stefano Accorsi. In uscita nelle sale italiane il 16 ottobre, il film si propone non solo come un’opera cinematografica, ma come un messaggio di solidarietà verso tutte le donne che vivono – o non vivono – la maternità in modo non convenzionale.
Due donne, due mondi, un legame invisibile

La trama si muove su due binari paralleli, quelli di Nunzia e Maddalena. La prima è una giovane studentessa fuori sede, piena di vita e sogni, ma alle prese con una gravidanza inattesa. Non sa cosa fare, né se è pronta ad assumersi un ruolo che cambia la vita.
La seconda, Maddalena, è una donna borghese, benestante, sposata con Luca (interpretato da Accorsi) e immersa in un doloroso calvario di aborti e tentativi falliti. Mentre una cerca di evitare ciò che non ha cercato, l’altra desidera disperatamente ciò che non può avere.
Due donne che non si incontrano mai, ma che sono legate da una scelta, da un’assenza, da una “culla per la vita”. Ed è proprio questa realtà, ancora poco conosciuta in Italia, a diventare uno degli elementi chiave del film.
“Culle per la vita”: una scelta difficile, ma possibile
“Volevo mandare un messaggio di grande solidarietà e speranza a tutte le donne che non si sentono pronte ad essere madri”, spiega Elisa Amoruso all’ANSA.
È con questo spirito che la regista inserisce nel film la figura delle “culle per la vita”: luoghi sicuri dove si può lasciare un neonato in modo anonimo, per garantirgli un futuro e una protezione immediata.
Un gesto estremo, spesso giudicato, ma in realtà profondamente umano e coraggioso, soprattutto in una società in cui si tende ancora a idealizzare la maternità e a rimuoverne i lati più difficili. La stessa regista dichiara:
Manca l’informazione, le “culle per la vita” in Italia esistono, però tantissime donne non lo sanno come non sono a conoscenza che possono partorire in anonimato e lasciare poi il bambino in sicurezza.
La maternità non è uguale per tutte
Elisa Amoruso ha voluto parlare in prima persona, rendendo Amata anche un film personale. Lei stessa ha vissuto un aborto spontaneo e ha sperimentato sulla sua pelle il lutto silenzioso che spesso accompagna queste esperienze:
Succede a tantissime donne.
Comunque un fatto che non si riesce a metabolizzare e una perdita importante per me e per la mia famiglia.
È proprio questa sincerità a dare al film una profondità che va oltre la fiction: Amata non è un racconto a tesi, non vuole insegnare né giudicare, ma condividere emozioni complesse che molte donne conoscono.
Il filo rosso della Amoruso
Il cinema di Elisa Amoruso ha un filo rosso: la cronaca e il sociale. Lo ha dimostrato con la serie The Good Mothers e ora con Amata. Per lei, raccontare certe storie è un atto di responsabilità:
Smuovere le coscienze sicuramente è uno strumento molto potente che noi registi abbiamo e di cui dobbiamo assolutamente far buon uso.
Il mio sogno è fare questo facendo emozionare e non mandando dei messaggi dogmatici.
Un film, una voce
In un momento storico in cui la maternità è ancora raccontata spesso come un percorso lineare, pieno solo di gioia e realizzazione, Amata è un’opera che ha il coraggio di dare voce a chi non si riconosce in quel modello.
Non solo alle donne che non vogliono essere madri, ma anche a chi desidera esserlo e non può o a chi ci riesce, ma a caro prezzo. A mamme che forse si sono sentite sole, sbagliate, inadeguate. E che magari, grazie a un film, riescono a sentirsi comprese.
In un’Italia in cui le “culle per la vita” esistono, ma sono quasi invisibili, il cinema può ancora fare luce. Perché parlare di maternità non deve mai essere un tabù. E perché ogni donna ha diritto alla propria storia.
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