Chi sono i giovani hikikomori che si isolano dal mondo: l’intervista a Marco Crepaldi

Abbiamo intervistato Marco Crepaldi, fondatore di Hikikomori Italia, per fare luce sul triste fenomeno che porta molte persone ad isolarsi dal mondo.

Asia Buconi
Asia Buconi
Classe 1998, romana. Laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali, ama l’attualità e la letteratura, ma la sua passione più grande è la sociologia, soprattutto se applicata a tematiche attuali. Nel tempo libero divora film e serie tv.
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Di fronte ad una società sempre più esigente la possibilità di successo è per molti quasi irraggiungibile e la paura di non realizzarsi forse la più diffusa. Sottrarsi alla fitta rete di aspettative che si crea attorno ad ognuno di noi può sembrare un comodo espediente che alcuni adottano per non mettersi in gioco o rischiare. Ma in verità questo tipo di approccio all’esistenza rappresenta una realtà molto diffusa e in crescita, che dà vita ad un fenomeno piuttosto drammatico, soprattutto perché poco conosciuto.

Gli individui che fanno dell’isolamento sociale il loro stile di vita sono definiti “hikikomori”, un termine giapponese che significa letteralmente“stare in disparte, isolarsi”.


Per comprendere al meglio il problema abbiamo intervistato Marco Crepaldi, fondatore di Hikikomori Italia, la prima associazione che nel nostro Paese si occupa di questo fenomeno.

Il fenomeno Hikikomori: la cause

Il fenomeno Hikikomori: la cause

Un fattore di rischio potenzialmente decisivo per gli hikikomori, specie nell’esperienza giapponese, è il contesto familiare: l’assenza emotiva del padre ed un ossessivo attaccamento alla madre danno vita ad un approccio problematico alla figura genitoriale, che può portare al rifiuto di qualsiasi tipo di aiuto. Ancor più determinante può rivelarsi possedere una personalità introversa o particolarmente sensibile, due aspetti caratteriali molto comuni tra gli adolescenti, ma che negli hikikomori si manifestano in modo vincolante e proibitivo, specie se uniti all’incredibile pressione esercitata dalla scuola. Abbandonare prematuramente gli studi è infatti considerato uno dei primi campanelli di allarme dell’hikikomori. Il peso delle aspettative rappresenta senza dubbio la “spinta” più importante verso la reclusione, come sottolinea Crepaldi:


La pressione alla realizzazione sociale ha raggiunto il picco massimo nella società moderna e ci perviene
da molteplici fonti. È proprio per scappare da questa morsa opprimente che gli hikikomori decidono di
isolarsi: nell’intimità della loro abitazione possono evitare occhi giudicanti, non devono rendere conto
delle proprie mancanze e debolezze.

È comunque importante non annoverare tra le possibili cause la dipendenza da internet, che in realtà è una conseguenza di questa sindrome culturale. Spesso i due fenomeni vengono erroneamente associati, riducendo l’isolamento dei soggetti ad una “mania” dovuta al progresso tecnologico, ignorandone così la natura profondamente consapevole e ponderata.

Il fenomeno Hikikomori: una realtà non solo giapponese

In Giappone si comincia a parlare di hikikomori già dalla metà degli anni ottanta. Il paese del sol levante può essere infatti considerato la “patria” di questo fenomeno e si contano qui almeno 500.000 casi accertati. Ma esso non si sviluppa su coordinate spaziali così definite. Ogni paese economicamente sviluppato ospita degli hikikomori: dove c’è progresso, c’è aspettativa, e dunque anche pressione sociale. In tutta la Francia ve ne sono quasi 80 mila e nella sola Hong Kong 18.500, senza contare la diffusione in paesi come India, Iran, Taiwan, Corea del Sud, Bangladesh e Thailandia. Un fenomeno internazionale insomma, da cui neanche il nostro paese è immune. Spiega Crepaldi:

Non esistono studi ufficiali in Italia perché il fenomeno non è stato ancora riconosciuto, almeno non con
il nome di ‘hikikomori’. In base ai contatti che riceviamo, e in linea con le stime di altre associazioni
italiane che si occupano del fenomeno, riteniamo che da noi vi siano almeno 100.000 casi con diversi
gradi di isolamento

Dare voce al disagio: Hikikomori Italia, l’associazione fondata da Marco Crepaldi

Dare voce al disagio: Hikikomori Italia, l'associazione fondata da Marco Crepaldi

È chiaro che il principale pericolo per un fenomeno di questo tipo è quello di passare inosservato: il tacito “ritirarsi” delle vittime rischia di trasformarsi in un vero e proprio “isolamento di chi si autoemargina”. Marco Crepaldi è stato il primo a rompere questo silenzio. Laureato in psicologia
sociale, ha fondato “Hikikomori Italia” nel 2013, dopo aver scoperto il fenomeno quasi casualmente:

Non avevo idea che avrei fondato un’associazione. Conobbi il fenomeno per caso guardando un anime
giapponese chiamato ‘Welcome to the NHK’. Era il 2012 e stavo frequentando il terzo anno di psicologia.
Fui talmente colpito da esso che decisi di dedicarvi la mia tesi di laurea. Successivamente decisi di aprire
il blog ‘hikikomoriitalia.it’ per colmare il gap informativo che ritenevo ci fosse all’epoca e che perdura
tutt’oggi.

Rompere l’isolamento delle vittime con uno spazio aperto al confronto e alla condivisione delle proprie esperienze è fondamentale, soprattutto perchè favorisce la presa di coscienza del problema. Continua Crepaldi:

Hikikomori Italia si occupa innanzitutto di sensibilizzazione, un aiuto inizialmente indiretto, ma molto
importante. Solo cambiando la conoscenza che c’è oggi sull’isolamento sociale volontario riusciremo
davvero a migliorare la condizione di molte famiglie. Dopodichè offriamo gratuitamente online una serie
di spazi di confronto dove ragazzi e genitori possono capire di non essere soli di fronte a tale sfida, così da
far cominciare il processo di realizzazione del problema. In particolare, abbiamo per i genitori molti
gruppi di mutuo-aiuto regionali che si trovano in tutta Italia sotto la supervisione di un nostro psicologo.

Il fenomeno Hikikomori: non depressione, ma vergogna

Il fenomeno Hikikomori: non depressione, ma vergogna

Ad un occhio non attento il fenomeno hikikomori potrebbe sembrare molto simile alla depressione. In realtà vi è un elemento che rende le due problematiche profondamente diverse, ed è da ricercare nel sentimento che provoca tali disagi: nel caso della depressione è il senso di colpa, in quello degli hikikomori la vergogna. Il narcisismo della nostra società si riflette in atteggiamenti che dobbiamo necessariamente imparare ad avere, come sapersi presentare, saper curare il proprio aspetto, essere
spigliati, ma che in queste persone crea un profondo e radicato disagio. Gli hikikomori credono di “stonare” con il resto della società e vivono male la propria immagine, sentendosi persi in un’irrimediabile goffaggine. Crepaldi, descrivendo il meccanismo mentale che si attiva nella mente di questi soggetti, afferma:

Negli hikikomori vi è una difficoltà nell’esporre il proprio corpo e la propria identità, ma non è sempre
legata all’aspetto fisico.

Spesso essa nasce da un’incapacità comunicativa, una difficoltà relazionale, una
goffaggine nei movimenti, insomma, dalla propria auto-percezione a 360 gradi. L’aspetto fisico è uno dei
tanti criteri che può esasperare la propria vergogna sociale.

A questo punto appare chiaro quanto la rete possa rappresentare un rifugio più che consolatorio. Qui il contatto fisico è escluso, così come quell’imbarazzo suscitato dal continuo e costante senso di inadeguatezza, vissuto come ostacolo all’espressione di sé. La prigione del corpo si annulla se quell’immagine per gli altri non esiste più.

Ma il fenomeno va pure oltre tutto questo: qui si parla di una vera incapacità di resilienza. Ogni giovane ragazzo costruisce nella sua mente grandi aspettative, perché spinto da una grande speranza. Scontrarsi con la realtà dei fatti e riuscire a non restarne traumaticamente delusi non è una capacità che tutti possiedono, così come capire che un evento negativo non condanna ad un’eterna negatività. E a quelli che non comprendono la grave serietà del fenomeno e lo definiscono quasi un “capriccio”, Crepaldi risponde:

Quello che dico sempre è di non fermarsi alle apparenze, ma di aprire la mente per comprendere quale
sfida esistenziale sono chiamati a vivere i giovani d’oggi, immersi nel benessere accumulato dai propri
genitori, ma allo stesso tempo fragili e sensibili di fronte ad una società iper-competitiva, fondata
sull’apparenza e il successo personale.

Non apatici o malati, né asociali o eremiti: gli hikikomori non devono essere curati, ma compresi e poi contraddetti proprio da noi, la società che tanto li ha delusi.

Leggi anche: Convivere con la paura e sotto scorta, intervista a Paolo Borrometi




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Classe 1998, romana. Laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali, ama l’attualità e la letteratura, ma la sua passione più grande è la sociologia, soprattutto se applicata a tematiche attuali. Nel tempo libero divora film e serie tv.
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