Passaporti falsi per i latitanti di ‘Ndrangheta: arrestato dipendente del ministero dell’Interno

Per la Dda di Firenze, i documenti falsi servivano a due latitanti calabresi per continuare a gestire le attività di importazione di droga dal Sudamerica.

Tommaso Panza
Tommaso Panza
Salentino, classe 1993. Una laurea in mediazione linguistica. Fondazione Basso(Roma). Amante della lettura e del cinema, in particolare delle opere che raccontano spaccati di realtà. Deciso sin da piccolo a diventare un giornalista.
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Un dipendente del ministero dell’Interno è stato arrestato nell’ambito di un operazione contro ‘ndrangheta. L’uomo avrebbe fornito passaporti falsi per coprire la latitanza di persone appartenenti a gruppi criminali.

Il dipendente del ministero dell’Interno era una talpa dei clan

Il dipendente del ministero dell'Interno era una talpa dei clan

Quello dell’arresto del dipendete del ministero dell’Interno è uno degli elementi più rilevanti emerso dall’inchiesta coordinata dalla Dda di Firenze e che ieri ha portato all’arresto di 13 persone indagate, su richiesta del gip Giampaolo Boninsegna.

L’inchiesta è stata coordinata da due organini la Procura di Reggio Calabria e quella di Milano, una vasta operazione contro il narcotraffico delle cosche calabresi, in particolare è stato assestato un duro colpo al clan di ‘ndrangheta riferibile ai Molè di Gioia Tauro, ma non solo.

Secondo le indagini colui che era incaricato di mantenere i rapporti con il dipendente del ministero dell’Interno era tal Emanuele Fonti, finito in carcere, considerato il ponte tra lo Stato e le varie famiglie di ‘ndrangheta coinvolte nell’arresto, quella di Guardavalle, e i Pesce-Bellocco-Molé tutte influenti e dominanti nella piana di Gioia Tauro.

Fonti era anche in grado di ottenere passaporti falsi o comunque contraffatti, dietro pagamento in denaro, sfruttando a sua volta un dipendente della Questura di Milano, nonché in servizio anche nel Commissariato di Legnano “conosciuto grazie ad un amico Calabrese mezzo latitante”, come racconta Fonti. 

Quest’uomo altro non era che la talpa delle ‘ndrine e quindi il dipendente del ministero arrestato. Il suo nome è Nicodemo Francesco Callà, classe ’54 e originario di Mileto, anche lui fra gli arrestati. Da quanto sarebbe emerso dall’inchiesta, infatti, sarebbe lui il “dipendente amministrativo del ministero dell’Interno” incaricato dal gruppo per ottenere la falsificazione dei passaporti, dietro compenso

‘Ndrangheta, arrestato dipendene del ministero dell’Interno: 10mila euro per il passaporto

Anche lo stesso Emanuele Fonti che, avrebbe ottenuto, dietro al pagamento di 10mila euro, un passaporto falso. Anche perché, spiega lui stesso nella conversazione intercettata, per muoversi all’estero non si potevano utilizzare passaporti originali nella struttura ma falsificati nelle generalità in quanto ai controlli di Polizia questi sarebbero stati immediatamente individuati, a causa dei chip che li corredano.

Così come era già successo in Olanda quando fu fermato al controllo aeroportuale, a seguito del quale venne accertata la falsificazione del documento esibito:  

Adesso gli sto facendo fare un altro per un’altra persona, che poi quest’altro cretino qua, pensa che le persone sono sceme mi ha mandato via WhatsApp gli ho fatto mandare, ha fatto la foto alla carta d’identità. 

Uno stralcio di una conversazione intercettata che restituisce chiaramente la rilevanza della figura del dipendente del ministero dell’Interno, Nicodemo Callà all’interno del gruppo criminale. Sarebbe stato lui, infatti, a elabrorare altri passaporti per altri latitanti delle ‘ndrine calabresi, fondamentali per i viaggi all’estero. Sono almeno tre quelli individuati dagli inquirenti e recanti nominativi che, di fatto, nascondevano la vera identità dei latitanti

Arrestato dipendende del ministero dell’Interno: passaporti falsi per veri latitanti

Alcuni dei passaporti falsificati dal dipendente del ministero erano riconducibili a tali Marco Luigi Zaninello e Giacomo Pugliese: per gli inquirenti sono nomi utilizzati in realtà per coprire la latitanza di Mario Palamara, tuttora irreperibile, ritenuto dagli inquirenti il committente per l’importazione di quantitativi ingenti di droga attraverso i contatti in Sudamerica.

Come quelli documentati dagli inquirenti in occasione dell’importazione di oltre 400 kg cocaina nel porto di Livorno. C’è poi il passaporto di un certo Carmelo Maesano, che è stato scoperto essere a tutti gli effetti il passaporto utilizzato da un altro latitante, Antonio Catalano, anche per l’espatrio in Colombia risalente al 16 gennaio del 2019.

Il dipendente del ministero dell’Interno, avrebbe quindi favorito la latitanza di Catalano e Palamara, entrambi coinvolto nell’inchiesta “Picciotteria bis” e condannati a 12 anni di carcere. Passaporti “veri” ma falsificati, documenti fondamentali per i latitanti per continuare a muoversi in totale libertà, garantendo così il massimo apporto possibili per i disegni criminali del gruppo.

Leggi anche: Blitz contro la ‘Ndrangheta, 104 misure cautelari in tre regioni: stroncata la “Narcos Europea”

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