Coronavirus, l’analisi dei dati: l’Italia è davvero la più colpita dopo la Cina?

Domenico Di Sarno
Domenico Di Sarno
Informatico e politologo laureato con Lode. amante dei libri di ogni genere perché fortemente convinto che la cultura sia come il cibo, ne serve ogni giorno per nutrire la mente. Appassionato di storia e diritto costituzionale.
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L’emergenza con cui tutto il mondo sta facendo i conti e in particolare l’Italia, ha sicuramente dei numeri. In altre parole se il mondo sta facendo i conti con il coronavirus abbiamo pensato di fare i conti al coronavirus. I bollettini e gli aggiornamenti che riguardano il numero complessivo e l’andamento giornaliero dei contagi, delle vittime e delle guarigioni si susseguono e, considerando uno di questi due aspetti, l’Italia e la Cina sono i 2 paesi più colpiti.

Analizziamo i dati dei paesi principali

Vediamo innanzitutto un confronto numerico tra i principali paesi coinvolti. Al primo posto nel mondo c’è la Cina. Secondo i dati diffusi tramite una piattaforma web del dipartimento di ingegneria civile della John Hopkins University, che aggiorna i dati mediamente ogni 30 minuti, avendo come fonti gli organismi predisposti dai governi nazionali, alle 13:53 del giorno 12 marzo 2020 il totale di tamponi positivi nel mondo sono 127820 di cui 80932 in Cina. Questo significa che il paese più popoloso del mondo ha una percentuale del 63,317% dei casi, o per chi preferisce le frazioni, circa i 7/11 della popolazione mondiale contagiata.

I morti e i guariti da Covid-19

In totale i morti sono 4717 e 68309 i guariti. Dei 4717 deceduti 3056 sono cinesi, vale a dire il 64,786% del totale. I guariti in Cina sono 50318, vale a dire il 73,662% del totale. Vediamo anche altri dati della Cina che ci torneranno utili nel confronto con gli altri paesi. Il paese del dragone ha una superficie di 9546000 Km quadrati con una popolazione di 1,433 miliardi di abitanti, questi sono dati tratti dal World Factbook della Cia del 2019.

La situazione nel nostro paese in confronto alla Corea del Sud

Al secondo posto sia per i contagi che per numero di vittime c’è l’Italia con 12462 casi accertati, 827 morti e 1045 guariti. In altre parole nel nostro paese abbiamo un percentuale pari al 9,74% dei contagiati, il 17,532% dei morti e solo l’1,52% delle guarigioni. Abbiamo una popolazione di 60359546 abitanti così come riportato dell’Istat nell’ultimo bilancio mensile di dicembre 2019. La superficie del Bel Paese è di 302000 km quadrati. Proviamo a fare i conti al virus anche in Corea del Sud che al momento è il quarto paese al mondo per numero di vittime e di contagiati, rispettivamente con 66 decessi e 7869 contagiati. La Corea del Sud ha una popolazione di circa 51 milioni di abitanti con una superficie di poco più di 100 mila Kmq, vale a dire un terzo dell’Italia. In questo caso però dobbiamo considerare anche una densità di popolazione quasi tripla, cioè di 491 abitanti per Km quadrato, contro i circa 200 dell’Italia. In questo caso i dati più aggiornati sono quelli forniti dalla Banca Mondiale ma si possono trovare stime sensibilmente diverse fatte dal FMI e dalle Nazioni Unite. Possiamo quindi passare a vedere quanti sono i contagi sul totale della popolazione e dell’estensione dello stato.

Un quadro riassuntivo

  • Cina: 1 contagio ogni 17712 persone e ogni 117 km quadrati
  • Italia: 1 contagio ogni 4854 persone e ogni 24,2 Km quadrati
  • Corea del Sud: 1 contagio ogni 6531 persone e ogni 12,96 Km quadrati L’eccezione che conferma la regola

Dal punto di vista degli abitanti, in questo confronto e solo in questo confronto, l’Italia appare il paese più colpito come incidenza sulla popolazione mentre per l’incidenza sul territorio il paese più colpito è la Corea del Sud. Proviamo a sfatare questo mito del paese più colpito e prendiamo in analisi l’Islanda. Si tratta di un’isola molto distante da tutti eppure si sono registrati finora 85 casi. La popolazione è di poco superiore ai 360 mila abitanti con una conseguente incidenza sulla popolazione di 1 contagio ogni 4235 abitanti e ogni 1200 Km quadrati circa. Ecco che da questo punto di vista il paese più colpito non è l’Italia.

L’impossibilità dell’omogeneità dei dati

I dati qui esposti sono però viziati da 2 fattori, il primo è la possibilità di risentire degli eventi in corso e di un conseguente e continuo mutamento, il secondo è quello che si è preferita sempre la fonte più aggiornata in fatto di crescita demografica. Va tuttavia sottolineato che anche in caso di fonti meno recenti, l’incidenza del contagio sarebbe sensibilmente diversa e non vedrebbe l’Italia al primo posto. Ci sono poi degli errori intrinseci nelle misurazioni statistiche che sono legati alla natura stessa della statistica. I dati riportati dalla John Hopkins University non tengono conto dello strumento diagnostico ossia del kit usato per fare il cosiddetto tampone. Non solo. Non è riportato il numero di tamponi eseguiti in ogni paese e nemmeno il tipo di kit usato, va infatti precisato che l’OMS ha fornito delle specifiche per un tipo di tampone mentre alcuni paesi usano un loro metodo diagnostico come ad esempio gli Stati Uniti. Infine, nota più importante, la legge statistica che regola il campionamento casuale semplice asserisce che la stima è tanto più accurata quanto più grande è il campione. In Italia sono stati eseguiti più tamponi che negli altri paesi. In altre parole il virus non è stato cercato su tutta la popolazione ma è stato cercato su più persone in Italia. Questo distorce anche il calcolo sulla mortalità assoluta che pare attestarsi poco sopra il 3% ma potrebbe essere più bassa.

Le differenti “politiche” di diagnosi e i pareri discordanti dei virologi

Dobbiamo poi tenere presente la politica di ricerca. Nei primi giorni successivi al primo contagio avvenuto il 20 febbraio 2020, in Italia sono state eseguite indagini diagnostiche su chiunque presentasse sintomi simil-influenzali. Si tratta della stessa cosa accaduta in Cina nei primi giorni di gennaio. Successivamente la metodologia di indagine è cambiata andando a cercare il genoma del virus solo in persone che avevano sintomi simil-influenzali ma che avevano un ragionevole motivo, ad esempio di contatto, con zone o persone provenienti dalle aree di contagio. In altre parole, a parte gli esempi qui mostrati, che numericamente e statisticamente mostrano che l’Italia non è il paese più colpito, c’è anche il criterio di ricerca. A questi due fattori si aggiunge un terzo che è quello dell’enfasi data dagli organi di stampa. Il professo Burioni del San Raffaele di Milano sostiene che ogni morte con coronavirus è da ritenersi una morte per coronavirus mentre altri suoi colleghi come la dottoressa Gismondi dell’ospedale Sacco di Milano e la professoressa Ilaria Capua, ritengono di dare meno importanza al fattore coronavirus soprattutto nei casi di decessi con comorbilità.

Chi ha ragione?

La risposta a questa domanda potrebbe essere “unicuique suum”, ovvero a ciascuno il suo, il suo pensiero. Inizialmente i fatti hanno dato ragione a Burioni e lui aveva chiesto a gran voce le misure amministrative che ora sono state attuate per prevenire il contagio paventando uno scenario simile a quello odierano già nell’ultima settimana di gennaio. Qui si è soltanto provato a fare un’analisi statistica, senza considerare fattori climatici e di inquinamento ambientale che, secondo parecchie indiscrezioni non scientificamente confermate ma neppure smentite, possono influenzare la veicolazione del virus. Il fenomeno è stato osservato nella maniera quanto più accurata possibile per presentare i numeri e solo quelli, auspicando che il tutto duri il meno possibile. di Domenico Di Sarno

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