Apple e le nuove misure sulla Privacy: il mondo della pubblicità online trema

Le nuove regole sulla privacy recentemente annunciate da Apple, rischiano di cambiare per sempre il mondo della pubblicità online. Cosa significa questo per gli utenti? E cosa cambia per gli inserzionisti?

Clarice Subiaco
Clarice Subiacohttps://medium.com/@ClariceSubiaco
Classe 1986, passato di studi umanistici e presente nel mondo dei dati. In mezzo, esperienze di lavoro come Digital PR, Content Strategist e Project Manager per startup e agenzie internazionali. Ama raccontare l'innovazione che ha un forte impatto sociale.
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In un mondo in cui la tecnologia consente di studiare e registrare ogni comportamento umano, il tema della Privacy diventa sempre più centrale. Le applicazioni, i social network e i siti web che navighiamo ogni giorno dal nostro computer o smartphone, raccolgono tantissime informazioni su di noi e sui nostri interessi. Anche se può sembrare spaventoso, ciò non è necessariamente un male. I dati raccolti vengono usati da editori e inserzionisti per proporre contenuti e pubblicità che risultino d’interesse per gli utenti e che hanno più probabilità di spingerli all’acquisto di un determinato prodotto o servizio.

Con l’introduzione del GDPR in Europa, la legge è intervenuta per far sì che tutti gli utenti siano consapevoli dei dati che comunicano durante le loro attività online e che possano scegliere come e dove vengano usati. Di conseguenza, i grandi giganti della tecnologia, da Facebook a Google hanno dovuto trovare modi per adattarsi a queste nuove regole e rassicurare gli utenti.

Se c’è un brand in grado di trasformare in oro tutto quello che tocca, senz’altro è Apple. Il colosso di Cupertino ha infatti recepito l’esigenza degli utenti di proteggere i propri dati personali e l’ha trasformata in una missione. Per questo motivo ha recentemente introdotto una serie di regole molto rigide, che rischiano però di stravolgere il mondo della pubblicità come lo conosciamo.

Le misure di Apple per difendere la Privacy

Una delle più recenti misure adottate dall’azienda fondata da Steve Jobs è quella di consentire agli utenti di disattivare i pixel di tracciamento all’interno delle mail di marketing. Questi piccolissimi frammenti di codice incorporati nelle newsletter che riceviamo, servono a comunicare al mittente alcuni dati come ad esempio quante volte è stata aperta la mail, il click sui link contenuti al suo interno, il download di immagini o altri materiali ecc.

Questa misura si inserisce nel quadro di una serie di iniziative, come il blocco dei cookie di terza parti su Safari, il browser di Apple, e le limitazioni al passaggio di informazioni da un’app all’altra, la tecnologia App Tracking Transparency. 

Gli addetti ai lavori parlano di una mossa di posizionamento del brand, che vorrebbe sfruttare il “trend” della Privacy per ampliare i guadagni. Ma da dove nasce questa rivoluzione?

Apple, l’azienda che ha rivoluzionato il mondo dei dispositivi mobili

Un tempo Apple era l’azienda produttrice dell’iPod, un business, quello dei lettori musicali, che fatturava molto di più di quello dei Mac. Poi, è arrivata la volta dell’iPhone, un business ancora più grande. Nel frattempo, la musica è passata dal modello download lanciato da Apple, allo streaming in abbonamento. Ciò ha fatto sì che gli utenti non fossero più vincolati al dispositivo ma potessero ascoltare le loro canzoni preferite ovunque. Di conseguenza, quella musicale è diventata una leva di business di minore importanza per Apple e le altre aziende di lettori Mp3.

Apple e la musica: lo streaming libera gli utenti dai dispositivi

Tuttavia, il passaggio allo streaming ha anche significato che la musica ha perso la leva strategica che aveva per Apple e altre società di dispositivi: se passavi da uno store all’altro perdevi tutta la musica che avevi già acquistato, ma cambiando servizio di streaming si perdono al massimo solo le proprie playlist. La musica ha smesso così di essere un modo per bloccare le persone in un ecosistema e quindi di essere una leva strategica. Forse Apple avrebbe potuto creare da sola lo streaming, se avesse avuto la visione, ma avrebbe avuto poco da guadagnare da essa.

Apple ci riprova con lo streaming TV

Cosa è successo dopo la musica? Quando Apple ha annunciato l’iPhone, nel 2007, ha anche annunciato l’Apple TV, il suo nuovo servizio di streaming video. Google aveva acquistato Youtube due mesi prima, Hulu era stato lanciato quell’estate e tutti nel settore televisivo sapevano che il futuro, a un certo punto, sarebbe stato lo streaming. Steve Jobs pensava di poter fare alla TV quello che aveva fatto alla musica: spazzare via un’esperienza arcana, complessa e ostile all’utente e sostituirla con un’esperienza semplice e senza frizioni. Ciò non è accaduto. L’Apple TV non è mai andata da nessuna parte e oggi il suo ruolo nel settore televisivo non è tanto più incisivo di quello in ambito musicale.

Tutto cambia con l’arrivo dell’App Store 

Quando Steve Jobs ha lanciato l’App Store nel 2008, ha affermato che la commissione sui pagamenti serviva per coprire i costi di gestione, ma 12 anni dopo, nel 2020, le entrate delle commissioni dell’App Store di erano vicine a 15 miliardi di dollari, più del fatturato dell’intera industria musicale e con un margine di guadagno molto più ampio.

Circa il 90% di queste entrate proviene dai giochi e quasi tutto proviene da acquisti in-app. Apple, quasi per caso, ha creato una nuova piattaforma di gioco con una portata molto maggiore rispetto a console o PC, e un modello di monetizzazione rivoluzionario che ha raddoppiato le dimensioni dell’industria globale del gaming.

La questione delle commissioni: lo scontro con Epic Games e Spotify

La questione delle commissioni, ha visto negli scorsi mesi, aspri scontri con alcuni dei principali player di settore. Apple chiede infatti il 30% di commissioni per tutti gli acquisti effettuati all’interno dell’app store e questo è considerato inaccettabile al punto che due giganti come Epic Games e Spotify negli scorsi mesi hanno fatto causa al colosso della mela morsicata e minacciato di ritirare le loro app. 

10 miliardi di ricavi nel 2020 provenienti da Google

Le commissioni non sono l’unica fonte di guadagno per Apple. Lo scorso anno Google ha pagato ad Apple circa 10 miliardi di dollari per essere il motore di ricerca predefinito in Safari, che negli USA è usato dal 60% degli utenti.  Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti sta facendo causa a Google per abuso di posizione dominante all’interno del mercato dei motori di ricerca.

Quindi, ricapitolando nel 2020 Apple ha avuto 15 miliardi di entrate dalle commissioni dell’App Store e altri 10 miliardi di puro margine da Google. Giusto per dare un termine di paragone, le entrate totali di Netflix nel 2020 sono state di 25 miliardi di dollari, e per ottenerle, la piattaforma di streaming ha dovuto spendere 15 miliardi di dollari per l’acquisto di programmi TV. Con queste premesse, possiamo dire che probabilmente, l’insuccesso in ambito di streaming TV e musicale, abbia di fatto rappresentato la chiave per per trovare una modalità di guadagno molto più proficua per Apple.

Pubblicità e Privacy

Apple non è solamente un produttore di piattaforme, ma anche di sistemi. L’iPhone ha un sistema e Apple decide come funziona e cosa possono fare gli sviluppatori su di esso, ne controlla la sicurezza, la rete wireless, la gestione dell’alimentazione e, appunto, la Privacy. Quest’anno Apple ha iniziato a richiedere alle app di ottenere l’autorizzazione prima di condividere le informazioni per tracciare gli utenti su diversi siti (Apple Tracking Transparency), proprio come le leggi sui cookie dell’UE e della California hanno richiesto lo stesso sul web. Per le applicazioni e i siti web, tracciare i dati degli utenti significa poter fornire loro pubblicità più pertinente e quindi di maggior valore per gli inserzionisti. Bloccare questo tracciamento per tutelare la privacy degli utenti vuol dire che l’ecosistema pubblicitario online basato su questi dati è destinato a disgregarsi. 

Il sistema pubblicitario proprietario di Apple che conserva i dati nel telefono

Parallelamente, Apple ha creato il proprio sistema pubblicitario su iPhone, che registra, traccia e indirizza gli utenti e offre loro annunci, ma lo fa sul dispositivo stesso anziché sul cloud e solo sulle proprie app e servizi. Apple tiene traccia di molti aspetti diversi del comportamento degli utenti e utilizza tali dati per creare coorti anonime basate sugli interessi e offrire annunci mirati. In altre parole, Apple colleziona molti dati degli utenti ma fa in modo che questi non vengano condivisi al di fuori del dispositivo.

FLoC, il sistema di tracciamento anonimo di Google

Questo sistema è abbastanza simile al FLoC (Federated Learning of Cohorts) proposto da Google, in cui il browser Chrome utilizza le pagine web che gli utenti visitano per inserirli in delle coorti anonime basate sugli interessi, senza che i dati di navigazione lascino il proprio dispositivo. Gli editori e gli inserzionisti possono chiedere a Chrome una coorte e offrire ai loro utenti un annuncio appropriato anziché tracciarli e indirizzarli da soli. 

A differenza di FLoC, il sistema di Apple consente di utilizzare le coorti anonime solo all’interno dei suoi dispositivi.

Un sistema per guadagnare ancora di più?

Quindi, l’ovvia e cinica teoria è che Apple abbia deciso di paralizzare gli annunci di installazione di app di terze parti per indebolire il sistema di annunci per smartphone e spingere le aziende verso gli acquisti in-app.

Molto più interessante, tuttavia, sarebbe lo scenario in cui Apple apre il monitoraggio e il targeting di coorte e consente agli editori di pubblicare annunci sulle sue app o sul suo browser senza che questi conoscano i dati di targeting. In questo modo Apple potrebbe fornire un modello pubblicitario davvero privato e personalizzato per un miliardo di utenti in tutto il mondo. 

Perché la pubblicità ha bisogno dei dati degli utenti?

I dati in ambito pubblicitario sono molto importanti per permettere alle aziende di profilare meglio i propri utenti e sottoporre loro delle inserzioni più pertinenti e quindi più remunerative. Allo stesso tempo questo sistema consente alle persone di vedere prodotti che rispecchiano i propri interessi ed essere così facilitati negli acquisti.

Tuttavia, la Privacy ha assunto un valore sempre più alto fino a scardinare questo paradigma ormai consolidato da anni. Apple, lo ha capito molto bene e sta usando la Privacy come leva strategica e di marketing per ottenere di fatto maggiori guadagni.  

Il prezzo della Privacy

Con queste nuove regole gli utenti potranno, di fatto, avere un maggiore controllo dei propri dati ed evitare che questi vengano utilizzati in contesti non approvati. Tuttavia, questi servizi extra non saranno gratuiti, ma faranno parte dei servizi a pagamento inclusi in iCloud+. Di conseguenza, le persone si troveranno a pagare di più per proteggere i propri dati.

E gli inserzionisti cosa faranno?

Come faranno gli inserzionisti a raggiungere gli utenti tramite le piattaforme pubblicitarie fornite da Facebook e dagli altri editori? In altre parole: se una campagna Instagram o di email marketing raccoglie dati parziali per gli utenti iPhone, chi garantisce di averli ingaggiati? E come si fa a capire se, nel compelsso, la promozione ha performato o meno? La soluzione meno rischiosa per le aziende potrà essere quella di creare un’applicazione solo per App Store e fare advertising direttamente sui sistemi Apple. Non è un caso che di recente siano state introdotte le App Search Ads, inserzioni pubblicitarie per promuovere app proprio all’interno dell’App Store. 

Una serie di cambiamenti che potrebbero cambiare per sempre gli equilibri dei business online. Siamo pronti per l’Apple-gaddon?

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