Francesca Albanese, Relatrice speciale delle Nazioni Unite dal 2022 per i diritti umani nei territori palestinesi occupati, continua a essere una delle figure più discusse e ascoltate nel panorama internazionale. Negli ultimi giorni, al Festival Rumore organizzato da Fanpage, la giurista italiana ha ribadito la sua posizione sul conflitto israelo-palestinese, definendo il piano Trump per Gaza “inaccettabile” e una nuova forma di occupazione che “lede il principio di autodeterminazione del popolo palestinese”.
Secondo quanto riporta Fanpage, Francesca Albanese ha sottolineato la necessità di rompere il silenzio internazionale che alimenta la sofferenza e la disuguaglianza nei territori occupati. Si è anche espressa sul recente caso della Flotilla, che a suo dire “ha visto la violenza degli israeliani di cui i palestinesi parlano da decenni”.
In altre occasioni, la Relatrice ha dimostrato un atteggiamento coerente e fermo, lo dimostra quanto accaduto nella trasmissione televisiva “In Onda” su La7 da lei abbandonata domenica 5 ottobre, un gesto poi spiegato a Controcopertina come rifiuto di parlare di Gaza “con chi non possiede le competenze necessarie”. Un comportamento che, pur suscitando polemiche, mette in luce una costante: la sua determinazione nel difendere la verità dei fatti anche a costo dell’impopolarità.
L’impatto di Francesca Albanese, una voce salda in tempi di tensione

Francesca Albanese è divenuta una figura simbolica per chi crede nella possibilità di un diritto internazionale che valga per tutti, senza eccezioni. Eco Internazionale la definisce “una delle voci più coraggiose e isolate”, capace di mettere in discussione non solo le connessioni tra economia, politica e diritti umani, ma anche le complicità economiche dell’Occidente nel mantenimento del conflitto.
La sua figura è anche un esempio di integrità personale. Come si evince da L’Espresso, durante una conferenza stampa a Lubiana, lei stessa ha ricordato che il suo impegno nel difendere i diritti del popolo palestinese è volontario e non retribuito. Una condizione che sottolinea l’impegno civile e morale del proprio ruolo.
Spesso al centro di pressioni e critiche, il suo lavoro contribuisce a riportare al centro del dibattito pubblico internazionale la questione palestinese come crisi di giustizia globale, non solo di geopolitica. Nel mondo frammentato dell’informazione contemporanea, la sua voce si distingue per la capacità di legare la denuncia dei crimini di guerra al sistema economico che li sostiene, sfidando una “normalizzazione del silenzio” che è alla base dell’ingiustizia.
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Il percorso di Francesca Albanese, dai primi incarichi alle sanzioni

Nata a Roma nel 1977, Francesca Albanese si è formata in giurisprudenza all’Università di Pisa e ha continuato la sua specializzazione in diritti umani e diritto internazionale prima a Londra e poi ad Amsterdam. Ha lavorato per l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani e per l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente, costruendo un profilo professionale centrato sulla tutela delle popolazioni civili in contesti di conflitto. Da maggio 2022, è Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati.
Durante il suo mandato ha incontrato diversi ostacoli, tra cui il divieto di ingresso in Israele imposto nel 2024 (come spiega TG La7), segno della tensione politica generata dalle sue indagini. L’esempio più recente è il suo ultimo rapporto, intitolato “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”, che denuncia come l’occupazione si sia trasformata in un sistema economico che trae profitto dall’oppressione del popolo palestinese. Secondo Fanpage, il documento mette in luce la complicità del settore privato e delle imprese in questo sistema.
Le sue conclusioni hanno suscitato forti reazioni: a luglio, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni personali contro di lei, accusandola – secondo quanto dichiarato dal ministro statunitense Rubio e riportato da TG La7 – di condurre una “campagna politica ed economica contro Stati Uniti e Israele”.
Stando a quanto si legge sull’Ansa, Francesca Albanese ha risposto difendendo la propria indipendenza e ricordando che “si tratta di una chiara violazione della Convenzione Onu sui privilegi e le immunità, che protegge i funzionari delle Nazioni Unite”. Ha poi aggiunto che le sanzioni rappresentano “un monito per chiunque osi difendere il diritto internazionale e i diritti umani, la giustizia e la libertà”.
Il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha richiesto la revoca delle sanzioni statunitensi. E non si è fermato qui: nonostante le pressioni diplomatiche e le campagne diffamatorie contro Francesca Albanese, ha rinnovato il suo mandato come Relatrice speciale per i territori palestinesi occupati fino al 2027. La notizia è stata riportata dal sito stesso di Onu Italia.
Un gesto con cui l’ONU riafferma la centralità del diritto internazionale e la libertà di chi indaga su violazioni gravi, anche quando le conclusioni risultano scomode per le potenze coinvolte. Il lavoro di Francesca Albanese si conferma dunque come un atto di denuncia, ma soprattutto come un tentativo di restituire voce a chi, nel rumore del mondo, non viene più ascoltato.
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