Rivoluzione per la malattia di Huntington: “Una cura ne rallenta i sintomi”

Una prima terapia sembrerebbe rallentare del 75% il progredire dei sintomi della malattia di Huntington, una delle più complesse malattie genetiche neurodegenerative.

Giorgia Fazio
Giorgia Fazio
Estremamente curiosa di questioni attuali, diritti umani e ambiente. Nel tempo libero legge testi di filosofia orientale. Se non c’è differenza non c’è relazione” è il suo mantra.
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La società statunitense Uniqure ha reso noti gli esiti del test clinico che rallenterebbe il progredire della malattia di Huntington. In fase di ricerca, la società ha coordinato anche l’Huntington’s Disease Centre dello University College London, uno dei più importanti nel settore.

La scoperta arriva dopo anni di ricerca, fa sapere Il Post, mentre la Fondazione Umberto Veronesi ha dichiarato come la terapia AMT-130 sia attualmente l’unica a modificare il decorso naturale della malattia.

Nonostante il trattamento sia ancora in fase sperimentale, è la prima volta che si ottengono degli esiti positivi nello studio di una delle malattie genetiche neurodegenerative più complesse. Il test è stato svolto su 29 pazienti, i quali hanno presentato uno sviluppo della patologia con un ritardo di tre anni.

La terapia contro la malattia di Huntington

La terapia genica AMT-130 è stata sviluppata dalla società Uniqure, che ha condiviso gli esiti sul proprio sito. Il test è stato compiuto su 29 pazienti, i quali hanno mostrato come risultati a lungo termine, dopo l’inizio dello studio tre anni fa.

Nei soggetti coinvolti, quindi, è stato possibile notare un rallentamento del 75% del declino motorio e cognitivo, rispetto alla consuetudine. La Fondazione Umberto Veronesi ha riportato il modo in cui il test è stato svolto.

A differenza della terapia genica classica, quella con AMT-130 fa produrre nei neuroni delle molecole, in grado di bloccare la sintesi della proteina huntingtina mutata. Nello specifico, viene utilizzato un virus reso innocuo, il quale porta nei neuroni una sequenza di RNA, trasformata poi in frammenti che interferiscono con l’espressione del gene huntingtin.

Il tutto avviene mediante un intervento neurochirurgico, durante il quale i medici praticano dei piccoli fori sul cranio del paziente e iniettano il farmaco in aree specifiche del cervello. A fare da guida al processo è la risonanza magnetica.

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Cos’è la malattia di Huntington

Come è possibile leggere su Il Post, la malattia di Huntington è ereditaria e compare tra i 35 e i 44 anni. Gli effetti principali che essa comporta sono problemi di coordinazione dei movimenti e carenze cognitive, che progrediscono con il tempo.

Solitamente, la stima di vita è di 15-20 anni dalla comparsa dei sintomi. A causare tale malattia sono, riporta la Fondazione Veronesi, mutazioni del gene che produce l’hungtintina, proteina necessaria per lo sviluppo cerebrale. Se mutata, tale proteina si accumula e diventa tossica per i neuroni.

Siccome l’Huntington appartiene alla categoria delle patologie ereditarie autosomiche dominanti, ogni discendente di un individuo affetto incorrerà nel rischio del 50% di sviluppare la malattia.

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Cosa succede ora?

Il Post fa sapere che la terapia AMT-130 è in fase di sperimentazione, ma già numerosi esperti considerano la notizia come una luce di speranza nella cura dell’Huntington. All’inizio del prossimo anno, quindi, la società chiederà l’autorizzazione alla Food and Drug Administration, per utilizzare la terapia negli Stati Uniti e poi nell’Unione Europea.

Se l’esito di tale richiesta sarà positivo, ATM-130 potrebbe essere disponibile per i pazienti già entro la fine del 2026. Non tutti, però, possono accedervi, a causa dell’elevato costo. A ogni modo, secondo i ricercatori, sarà necessario sottoporsi all’intervento solo una volta nella vita per inserire il virus nel cervello, siccome i tessuti cerebrali si rinnovano con ritmi diversi rispetto al resto del corpo.

Bisogna sottolineare, quindi, che seppure la terapia sia ancora in fase di sperimentazione, e siano ancora necessarie delle conferme sulla durata del beneficio a lungo termine, la scoperta rimane pur sempre un grande passo in avanti nella medicina. Soprattutto, il test appare come una luce di speranza per la cura di una malattia che finora si è presentata come impossibile da frenare.

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