La ricerca per trovare una cura all’Alzheimer è costantemente in aggiornamento. Secondo gli ultimi studi, esisterebbero due farmaci antitumorali che, combinati, rallenterebbero lo sviluppo della malattia.
Le molecole presenti nelle medicine, infatti, avrebbero degli effetti positivi sul cervello. In alcuni casi sembrerebbe che i sintomi dell’Alzheimer scompaiano. Vediamo meglio cosa è stato scoperto.
La ricerca innovativa
I ricercatori dell’Università della California a San Francisco hanno condotto uno studio per trovare una cura all’Alzheimer. Secondo i risultati della prima sperimentazione, sembrerebbe la combinazione di due farmaci antitumorali potrebbe rallentare i sintomi della malattia.
Per arrivare a questa conclusione, gli studiosi hanno analizzato 1300 farmaci e ne hanno identificati solo due, ossia il letrozolo e l’irinotecan. Il primo viene utilizzato in caso di tumore al seno, mentre il secondo contro il cancro al colon-retto e al polmone.
I primi esperimenti sono stati condotti su dei topi e i risultati sono stati più che positivi, così come le verifiche successive su alcuni pazienti oncologici. In questi ultimi, infatti, è stato notato che, assumendo i farmaci sopracitati, era ridotto il rischio di ammalarsi di Alzheimer.
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Come funzionano i due farmaci?

Lo studio è ancora in fase di approfondimento, ma secondo i ricercatori i due farmaci ridurrebbero i livelli di proteine beta-amiloide e tau nel cervello, che sono i due fattori di rischio dell’Alzheimer.
In particolare, l’irinotecan inibisce l’enzima topoisomerasi I, che si occupa della replicazione del DNA. In questo modo, il farmaco interferisce con la divisione cellulare e blocca le cellule tumorali. Questo enzima, infatti, è centrale nei meccanismi molecolare, che regolano l’attività dei neuroni, e la sua inibizione può avere effetti positivi sulle cellule cerebrali colpite dall’Alzheimer.
Per quanto riguarda il letrozolo, è un inibitore dell’aromatasi, ossia un enzima che produce estrogeni che agiscono sul cervello. Se questa attività nel cervello viene alterata, possono essere indeboliti i meccanismi di protezione neuronale e venire favorito l’accumulo di proteine tossiche.
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La riproposizione farmacologica
Ad oggi l’Alzheimer non ha ancora una cura e la ricerca continua imperterrita per riuscire a debellare una malattia neurodegenerativa che condiziona drasticamente la vita di chi ne è colpito. Lo studio dell’Università della California, quindi, rappresenta una grande speranza, in quanto rallenterebbe o addirittura arresterebbe lo sviluppo dei sintomi dell’Alzheimer.
La riproposizione farmacologica, in questo caso, è fondamentale, poiché permette di attribuire nuove indicazioni a medicinali già esistenti. Un esempio è la semaglutide, un antidiabetico usato anche contro l’obesità. A spiegare meglio in cosa consiste questa riproposizione farmacologica è stata Marina Sirota, professoressa dell’Università della California e principale autrice dello studio, che a Medical News Today ha dichiarato:
L’idea della riproposizione farmacologica, che consiste nell’usare in modo diverso farmaci già esistenti, può accelerare il processo di scoperta delle cure, poiché le molecole sono state già testate.
Inoltre, parliamo di una malattia complessa e molto difficile da trattare come l’Alzheimer, perciò dobbiamo usare tutti gli strumenti possibili per trovare le cure e aiutare i pazienti.
Non sappiamo se siano questi i meccanismi rilevanti nel contesto dell’Alzheimer o se si tratti di effetti collaterali che in qualche modo risultano utili.
Serviranno ulteriori studi per capirlo.
Si è aggiunta, poi, la spiegazione del dottor Peter Gliebus, direttore del reparto di neurologia cognitiva e comportamentale del Marcus Neuroscience Institute in Florida:
Questo approccio comporta uno sviluppo più rapido, poiché la sicurezza dei farmaci è già nota, un risparmio economico, poiché costa meno rispetto a sviluppare un nuovo farmaco, e infine un maggiore impatto clinico, poiché molti farmaci già esistenti potrebbero avere dei meccanismi d’azione ancora inesplorati contro l’Alzheimer.