Al risveglio, un sogno può apparire sorprendentemente felice, assurdo o inquietante. Eppure, al di là del contenuto simbolico, raccontare quel sogno a qualcuno può generare una sensazione di connessione profonda con chi ascolta. Questa percezione non è soltanto soggettiva: la condivisione dei sogni, nota anche come dream sharing, ha anche basi psicologiche.
In un mondo dove la comunicazione è spesso rapida e superficiale, parlare dei sogni può offrire uno spazio raro di vulnerabilità e ascolto, stimolando empatia e fiducia. Non è un’idea nuova: in molte culture antiche i sogni venivano narrati collettivamente, discussi e usati per comprendere i bisogni del gruppo.
Oggi, la psicologia scientifica riscopre e approfondisce questa pratica.
Condividere sogni aumenta l’empatia: la ricerca di Blagrove
Un contributo significativo arriva dallo psicologo Mark Blagrove e dal suo team presso la Swansea University nel Regno Unito, i quali nel 2021 hanno condotto uno studio innovativo sui legami tra condivisione dei sogni ed empatia. Ai partecipanti è stato chiesto di raccontare un proprio sogno a un partner, a un amico o anche a uno sconosciuto. Prima e dopo l’incontro sono stati somministrati test psicologici standardizzati per misurare i livelli di empatia.
Ed ecco i risultati: un incremento significativo dell’empatia percepita da chi ascoltava e, in misura minore, anche da chi raccontava. I sogni agivano da catalizzatori emotivi: aprivano la porta alla comprensione di emozioni complesse e offrivano uno spunto per vedere il mondo attraverso gli occhi dell’altro.
Blagrove ha descritto il processo come una “conversazione emozionale ad alta densità”, capace di avvicinare le persone più di un semplice scambio di parole sul quotidiano.
Perché funziona: i meccanismi psicologici in gioco

Il potere del dream sharing può essere spiegato da diversi fattori psicologici:
- intimità e vulnerabilità, poiché raccontare un sogno implica condividere immagini inconsce, a volte irrazionali o imbarazzanti. È un gesto che abbassa le difese e stimola l’autenticità
- narrativa e immedesimazione, infatti i sogni funzionano come racconti brevi, densi di simbolismo. Chi li ascolta tende ad “entrare” nella storia, proprio come accade con film o romanzi, e si crea una connessione empatica spontanea
- metacognizione affettiva, in quanto parlare di un sogno obbliga a riflettere su emozioni implicite, portandole alla coscienza e favorendo una maggiore consapevolezza di sé e dell’altro
Dalla cura alla vita quotidiana: applicazioni pratiche
Il dream sharing non si limita alla sfera della ricerca, ma viene applicato con crescente frequenza anche in ambiti terapeutici e educativi. Alcuni terapeuti di coppia lo utilizzano per favorire l’espressione emotiva e migliorare la comunicazione tra partner. In contesti scolastici, il racconto dei sogni può essere impiegato come esercizio creativo per sviluppare l’ascolto attivo, l’espressione scritta e l’empatia tra studenti.
Ci sono poi anche possibilità di applicazione della tecnica nel quotidiano. Ecco alcuni semplici consigli per praticarla:
- mantenere un diario dei sogni e provare a raccontarne uno a una persona di fiducia, senza preoccuparsi di interpretarlo, ma limitandosi alla descrizione
- ascoltare un sogno altrui con atteggiamento aperto e non giudicante, ponendo domande che favoriscano la riflessione emotiva (ad esempio: “Come ti sei sentito/a in quel momento?”)
- integrare il racconto dei sogni in attività di gruppo, utilizzandoli come spunto per scrivere storie, creare disegni o avviare discussioni su temi simbolici emersi
I sogni, un ponte che lega due persone

In un mondo sempre più connesso ma spesso privo di contatto emotivo reale e profondo, il sogno rappresenta uno spazio libero e autentico.
Condividerlo significa accettare di mostrare una parte intima di sé e, allo stesso tempo, aprirsi alla possibilità di comprendere meglio chi si ha di fronte, accogliendo anche le sue emozioni più nascoste.
Raccontare un sogno può essere il primo passo per costruire un ponte silenzioso ma potente tra due interiorità. E forse è proprio questo il segreto dell’empatia.
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