La lotta alla sclerosi multipla (Sm) nasconde molto spesso insidie ancora più grandi di quanto si possa immaginare. Una delle difficoltà maggiori risiede nel riconoscere i casi in cui la malattia continui a danneggiare il sistema nervoso senza dare evidenti segnali.
Può succedere, infatti, che alcuni pazienti non presentino nuovi sintomi e abbiano risonanze magnetiche nella norma, ma in realtà il flusso della malattia prosegue in maniera silenziosa.
In questo caso, si parla di paziente apparentemente stabile. In cui è possibile riconoscere la condizione grazie all’osservazione clinica, un dialogo tra medico e paziente e, soprattutto, attraverso l’utilizzo di biomarcatori innovativi.
È qui che i neurofilamenti a catena leggera (Nfl) emergono come biomarcatori capaci di rilevare in modo affidabile la malattia, permettendo una maggiore tempestività nelle decisioni terapeutiche.
Gli Nfl sono delle proteine rilasciate nel sangue in seguito a un danno neuro-assonale.
Sclerosi multipla, studi e ricerche

L’utilizzo della Nfl risulta essere quindi molto promettente nel contesto della sclerosi multipla. Ma, nonostante ciò, il loro corretto e funzionale utilizzo è ancora limitato da fattori come l’accesso ai test, i costi alti e l’assenza di validi algoritmi clinici.
È diventato quindi fondamentale attivare un processo di sensibilizzazione, affinché la comunità scientifica possa adottare questo strumento di analisi nella pratica clinica.
La multinazionale svizzera Novartis – in collaborazione con il fornitore internazionale Synlab – ha avviato un nuovo progetto di lettura centralizzata che arriverà a coinvolgere fino a 50 centri Sm in Italia. Ogni centro, potrà a sua volta analizzare 40 campioni di sangue.
Lo scopo è quello di far acquisire conoscenza e dimestichezza dello strumento, attraverso un’esperienza diretta che possa contribuire al futuro della terapia. L’efficacia di Nfl è stata confermata da diversi studi, informa Novartis.
Tra le diverse ricerche emerge uno studio osservazionale multicentrico, pubblicato sulla rivista scientifica inglese The Lancet Neurology. Lo studio ha seguito per quattro anni ben 814 pazienti con sclerosi multipla recidivante-remittente, reclutati in 22 centri specializzati.
I risultati sono stati più che positivi: livelli più alti di NfL nel sangue sono collegati alla presenza di lesioni attive alla risonanza magnetica, a un rischio maggiore di ricadute e alla necessità di potenziare le terapie nel tempo.
A confermare questi dati vi è anche uno studio più recente, pubblicato a marzo 2025 su Frontiers in Neurology.
Quest’ultimo pone l’attenzione ai pazienti che sembrano stabili sia clinicamente sia radiologicamente. In casi di questo tipo, un valore elevato di NfL è risultato fortemente associato alla perdita dello stato di NEDA-3 (nessuna evidenza di attività di malattia) nell’arco di un anno.
Inoltre, i livelli di Nfl risultano spesso elevati in presenza di sintomi subclinici come affaticamento persistente, esordio improvviso di ansia o depressione, lievi alterazioni cognitive non associate a nuove lesioni visibili alla risonanza magnetica.
Paola Coco, Chief Scientific Officer and Medical Affairs Head Novartis Italia, a sostegno del progetto, ha dichiarato:
Come azienda impegnata da anni nell’area della sclerosi multipla, patologia complessa la cui gestione è in continua evoluzione crediamo che l’innovazione debba essere accessibile e tradursi in strumenti concreti per migliorare la pratica clinica e, soprattutto, la vita dei pazienti.
Il nostro impegno va in questa direzione:
contribuire all’evoluzione del Servizio sanitario nazionale promuovendo modelli di gestione più precoci, efficaci e sostenibili, nell’interesse dei pazienti e della comunità scientifica.
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