Affrontare una malattia non è mai semplice, soprattutto quando il percorso di guarigione comporta un cambiamento del proprio corpo. Spesso si ha la sensazione di essere gli unici a vivere certe esperienze: ci si sente soli, il mondo sembra crollare addosso e andare avanti sembra impossibile. Per fortuna, ci sono persone che, attraverso le proprie storie, riescono a incoraggiare e informare chi si trova ad affrontare una situazione simile.
Anche l’informazione, infatti, gioca un ruolo fondamentale: sapere cosa aspettarsi, come comportarsi, quali saranno le cure e come affrontarle al meglio aiuta a non sentirsi soli e a gestire la malattia con maggiore consapevolezza.
È proprio questo l’obiettivo di Anna Maisetti, che nel 2018 ha fondato la community internazionale @stile_compresso, diventata oggi uno dei principali punti di riferimento per la divulgazione delle tematiche legate al linfedema e non solo.
Chi è Anna Maisetti, modella con linfedema?
Anna Maisetti è la prima modella e content creator italiana con linfedema alla gamba destra, al piede e a parte della schiena. Il linfedema è stato un’implicazione diretta di un intervento oncologico che le ha salvato la vita, quando, a 22 anni, le è stato diagnosticato un melanoma in stadio avanzato.
La sua gestione quotidiana prevede terapie complesse, compressioni e bendaggi, elementi che Anna ha deciso di condividere con la sua community per permettere innanzitutto una maggiore conoscenza e visibilità della malattia, e poi per donare un barlume di speranza a chi vive questa condizione nel silenzio.
Con un approccio che mescola divulgazione scientifica, moda, ironia e attivismo sociale, Anna collabora con istituzioni e brand sensibili al tema dell’inclusività, tra cui AIRC, la Fondazione per la Ricerca sul Cancro, di cui è anche testimonial.
Nel 2025 ha sfilato alla Milano Fashion Week, portando in passerella non solo abiti, ma un messaggio forte: ciò che ci rende “diversi” può diventare bellezza, potenza e identità.
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7 domande a chi, grazie alla sua storia, è ogni giorno una fonte di ispirazione

1. Com’è stato convivere con il linfedema a 22 anni? E com’è oggi?
A 22 anni è stato uno tsunami. Dopo una diagnosi di raro cancro della pelle in stadio avanzato e un intervento per l’asportazione dei linfonodi, mi sono ritrovata con una gamba che non riconoscevo più.
Il linfedema, una patologia cronica caratterizzata da un accumulo di linfa nei tessuti, che causa gonfiore, pesantezza e alterazioni nella forma del corpo, non era solo una questione fisica: era la fatica quotidiana, la frustrazione, l’ansia di non sapere cosa mi stesse succedendo e, soprattutto, il senso di isolamento. Nessuno mi aveva preparata veramente, non c’erano molti riferimenti, né condivisioni da cui trarre forza.
Oggi ho imparato a conviverci con consapevolezza e disciplina, ma non è diventato “facile”. È diventato gestibile. Grazie a uno studio costante, una routine terapeutica precisa e soprattutto una rete di persone che camminano insieme a me, affronto il linfedema come una parte integrante della mia quotidianità. Con la conoscenza arriva anche una certa pace: so cosa devo fare, e so che non sono sola. Ma non nego che i momenti sfidanti ci sono sempre.
2. Quando e da cosa è nato il desiderio di metterti in gioco e creare una community internazionale?
Il desiderio è nato dalla solitudine profonda che ho vissuto nei primi anni della diagnosi come paziente. Non solo mi mancavano le informazioni corrette, ma spesso quelle disponibili erano vaghe, contraddittorie o frammentarie, anche nel contesto medico.
Nessuno parlava davvero di cosa significasse vivere con il linfedema nella pratica quotidiana: come affrontare la fatica, scegliere gli ausili giusti, indossare scarpe su piedi asimmetrici, gestire le emozioni, lo stigma, la burocrazia.
Ho capito che non potevo aspettare. Così ho creato “Stile_Compresso” per offrire ciò che a me era mancato: informazioni chiare, supporto umano, rappresentazione reale. Non solo dolore, ma anche stile, ironia, possibilità.
Con mia grande sorpresa, non ero sola. Tantissime persone si sono riconosciute e si sono unite a questa narrazione: pazienti, caregiver, professionisti, aziende. Abbiamo costruito una rete forte, che unisce persone da tutto il mondo e mostra che anche una patologia invisibile può trovare voce, forza e visibilità. “Stile_Compresso” è diventato un linguaggio comune, una casa dove si può essere fragili, ma anche fieri.
3. Quanto sarebbe stato importante, a 22 anni, avere una guida come sei tu oggi per tante persone che vivono questa condizione nel silenzio?
Sarebbe stato tutto. Una guida, una voce, un volto in cui riconoscermi avrebbe fatto la differenza tra affondare e resistere. Mi sarei risparmiata tanta vergogna, tante notti a sentirmi “sbagliata”, e soprattutto errori evitabili che mi sono costati tempo, soldi ed energia.
Avere qualcuno che mi dicesse: “Puoi ancora vivere, ridere, viaggiare, amarti, indossare un vestito che ti piace, mostrarti senza vergogna“, mi avrebbe salvata. Ed è proprio questo il ruolo che cerco di avere oggi. Voglio essere per gli altri ciò che io non ho avuto: un punto fermo, una mano tesa, un riferimento che possa dare forza nei momenti più bui.
Perché la bellezza non sparisce con una diagnosi. La dignità non dipende dalla simmetria. E il diritto di sentirsi vivi non finisce con una malattia cronica.
4. Ciò che ci rende “diversi” può trasformarsi in bellezza, forza e identità. Il linfedema è una tua caratteristica speciale?
Se avessi una bacchetta magica, vorrei guarire. Lo dico con sincerità, senza retorica. Non credo nelle frasi tipo “non potrei più rinunciare a ciò che sono diventata grazie alla malattia”. Ma so anche che il linfedema ha modificato profondamente il mio modo di vedere il mondo.
Questa condizione ha messo in discussione tutto: il mio rapporto con il corpo, il concetto di bellezza, la relazione con la disabilità e la vulnerabilità. Non è stato un percorso lineare, né facile.
L’accettazione non è passiva: va coltivata ogni giorno attraverso la cura, la consapevolezza e una volontà costante di lavorare su sé stessi. Io ho trasformato la compressione in stile, la fragilità in linguaggio, il limite in possibilità.
E se ci sono riuscita io, che all’inizio mi sentivo sola, persa e a pezzi – può riuscirci chiunque. Serve tempo, costanza, coraggio e il supporto di specialisti. Ma ognuno ha dentro di sé una forza che aspetta solo di essere attivata.
5. Se potessi tornare indietro, cosa cambieresti del tuo percorso?
Mi abbraccerei di più. Mi direi più spesso che stavo facendo del mio meglio. Per il resto, rifarei tutto. Ho percorso una strada che allora era quasi inesplorata, con poche voci e pochissima rappresentazione.
Ho scelto di espormi, di parlare anche quando faceva male, e so che questo ha avuto un impatto importante per tantissime persone. Ho creato connessioni vere, collaborato con aziende, professionisti, attivisti, e soprattutto, ho costruito una rete che oggi dà forza a centinaia di pazienti.
Il consiglio che do a chi si trova all’inizio di questo percorso è: non isolatevi. Cercate informazioni, curatevi, ascoltatevi e unitevi ad altri che vivono la vostra stessa realtà. Perché solo chi conosce questa fatica può davvero capirla. E oggi, fortunatamente, non siete più soli.
6. Com’è nata la tua carriera da content creator e modella, essendo stata tra le prime in Italia e a livello internazionale?
Fin da ragazzina ho sempre amato la comunicazione e la moda. Prima della malattia, stavo muovendo i primi passi nel mondo dei concorsi di bellezza e dei primi lavori in questo campo. Poi il cancro e il linfedema hanno interrotto tutto bruscamente. Per anni mi sono sentita “finita”, mi sabotavo da sola, mi vedevo brutta, inadatta.
Ma qualcosa è cambiato: grazie alla community, ho iniziato a mostrarmi per ciò che ero davvero, senza filtri. Aziende e agenzie con una nuova visione hanno colto la potenza di questa narrazione diversa, dove la malattia non era solo dolore, ma anche creatività, identità, possibilità. Così sono iniziate le prime collaborazioni, le prime campagne, fino a diventare testimonial per progetti nazionali e internazionali.
Ogni volta che mi scelgono, non scelgono solo la mia immagine. Scelgono una storia, una visione. Ed è segno che il mondo sta cambiando. Che anche l’imperfezione può avere un posto. Che si può essere “fuori standard” eppure perfettamente dentro il proprio sogno.
7. Quest’anno ha partecipato alla Milano Fashion Week, ritiene che il mondo della moda sia davvero inclusivo o c’è ancora molta strada da fare?
È stata un’emozione enorme. Quando mi ammalai e mi dissero che avrei indossato calze e bendaggi per tutta la vita, mai avrei immaginato che un giorno avrei calcato la passerella di uno degli eventi più iconici del mondo della moda.
Essere scelta per la prima sfilata ufficialmente inclusiva della Milano Fashion Week è stato un segnale fortissimo. C’erano corpi diversi, storie diverse, e il messaggio era chiaro: la moda è per tutti. Ma questo non significa che siamo arrivati.
C’è ancora tantissima strada da fare. L’inclusività vera non è una tendenza, è un cambiamento culturale profondo. E ogni volta che un corpo come il mio o quello di altri meravigliosi modelli fuori dagli standard viene celebrato e non nascosto, ogni volta che una ragazza con una patologia o caratteristica si vede rappresentata e valorizzata, è un passo in avanti. E io sono orgogliosa di camminare, un passo alla volta, aprendo quella strada anche per chi verrà dopo.
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